[A cura di: avv. Paolo Ribero]
Nuovamente la Corte di Cassazione è stata chiamata a ribadire un principio – ormai consolidato – secondo cui l’art. 1117 C.C. non contiene un’elencazione tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio della cosa comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale.
Con la sentenza n. 1680, depositata il 29 gennaio 2015, la Suprema Corte ha ribaltato una decisione della Corte di Appello di Palermo relativa alla possibilità di escludere nell’atto di compravendita di un appartamento la proprietà di alcune parti comuni. Il caso sottoposto alla Corte riguardava l’acquisto effettuato da un ottico di un locale al piano terra e di locali al piano superiore collegati dal dante causa con una scala interna in modo che i clienti non dovessero usufruire della scala condominiale: nell’atto d’acquisto veniva previsto che l’unità immobiliare compravenduta non avrebbe avuto accesso alla scala condominiale (accesso che era stato impedito con la costruzione di un muro).
La vertenza ha oggetto la nullità di detta clausola.
Il Tribunale accertava la nullità della clausola ed il diritto dell’attore a ripristinare l’accesso al proprio immobile dal corridoio comune. Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’Appello che riteneva che il titolo d’acquisto non includeva il corridoio e questo non era annoverato tra le parti comuni dall’art. 1117 c.c.
La Suprema Corte ha ravvisato errori nella decisione della Corte d’Appello ribadendo con la sentenza in esame (n. 1680/2015) che la giurisprudenza della Cassazione “ha chiarito già da tempo che l’art. 1117 c.c. non stabilisce una presunzione legale di comunione per le cose in esso indicate nei n. 1, 2 e 3, ma dispone che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo; e che il criterio d’individuazione delle cose comuni dettato da tale norma non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. S.U. n. 7449/93)”.
Da tale premessa è derivata l’affermazione che la clausola, contenuta in un contratto di vendita di un appartamento sito in un edificio in condominio, con cui sia esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni dell’edificio stesso, “deve ritenersi nulla poiché con essa si intende attuare rinuncia di un condomino alle parti comuni, vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c. (Cass. N. 3309/77, Cass. 6036/95)”.
Si sostiene inoltre che se si considerasse valida la vendita che escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione del I comma dell’art. 1118. È pacifico in dottrina e giurisprudenza (Cass. 561/70) che in materia di determinazione del valore dei piani o delle porzioni di piano, da cui dipende la proporzione nei diritti e negli obblighi dei condòmini, l’assemblea dei condòmini non dispone di alcun potere. E pertanto ciò che non può disporre l’assemblea condominiale non può nemmeno essere realizzato da un singolo condomino, il quale, quindi, non può alienare la propria unità immobiliare separatamente dai diritti sulle cose comuni.