[A cura di: Paolo Ciri – delegato Uppi]
Si fa presto a dire “disdetto il contratto”. Prima di pensare di aver sciolto ogni legame sarà bene esaminare una serie di dettagli.
Ad esempio: da quando vale la disdetta del contratto di locazione o affitto? Dal giorno di spedizione o dal giorno di ricezione? La disdetta (atto unilaterale recettizio) ha valore dal momento in cui chi la riceve ne ha conoscenza, cioè da quando legge la lettera. L’articolo 1334 del Codice Civile, infatti, recita: “Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”.
D’altra parte, la raccomandata, per il disposto dell’art. 1335 del Codice Civile, si presume letta il giorno stesso in cui è stata ritirata, benché si possa dare (ma è difficile) prova contraria. Va da sé che quando la disdetta viene data e ricevuta per “raccomandata a mano” la conoscenza è immediata, alla firma. Vi è poi la eventualità che la raccomandata non venga ritirata. In questo caso si ha per letta al giorno di compiuta giacenza, il trentesimo giorno dopo l’arrivo. Con lo svantaggio, per il soggetto che la ha ricevuta, di non conoscere nemmeno cosa ci fosse scritto. In merito vedasi Cassazione Civile n. 1188/2014,, n. 16327/2007, n. 6527/2003, n. 2847/1997.
LA DECORRENZA
Supponiamo, per esempio, che il termine di preavviso sia quello di legge, sei mesi. Dal giorno di ricezione, o di compiuta giacenza della raccomandata, passeranno sei mesi e poi il contratto sarà sciolto, sempre che la disdetta sia data validamente. Però, salvo diversa pattuizione, gli affitti si “acquistano” (e si pagano) a periodi mensili. Percui, se il sesto mese dalla ricezione scade oltre il termine mensile del contratto si dovrà pagare anche una ulteriore mensilità. Ad esempio, un contratto che decorre dal primo marzo e la cui disdetta arriva il giorno 6 giugno comporterà, nei fatti, il pagamento di sette mesi di preavviso: da giugno a dicembre compresi, perché i sei mesi decorrono dal 1° luglio, il “primo del mese” successivo alla ricezione.
L’INDIRIZZO
Un problema a parte è quello della corretta individuazione dell’indirizzo del destinatario (domicilio contrattuale, legale o elettivo che sia). È bene individuarlo con precisione e correttezza nel contratto, ed individuare anche le alternative per il caso esso venga a mutare: questa è una possibilità offerta dall’articolo 141 del Codice di Procedura Civile. Ad esempio, molto spesso non si riesce a scrivere né a notificare all’inquilino che ha lasciato l’immobile locato, non conoscendone il domicilio attuale. In mancanza di specifiche clausole si rischia di scrivere ad un indirizzo non più valido, né giuridicamente né di fatto. Vedasi in proposito Cassazione Civile 10751/1991 o 6471/1987 o 17040/2003 o, infine, 2642/2013.
IL PERIODO
Per quanto riguarda il potere di dare validamente disdetta di un contratto di locazione o affitto “alla fine del periodo”, premettiamo che per “periodo” si intende il “gruppo” di anni per i quali ci si impegna. Ad esempio, il quadriennio nei contratti liberi, il primo triennio ed i successivi bienni per i concordati, la durata di sei anni ed i successivi gruppi di sei per i contratti commerciali (e 9 per gli alberghi). Questi tempi non si possono “limitare” nella vigenza della legge 392/79 (art. 79) mentre per quanto è ora regolamentato dalla 431/98 vale l’articolo 13 comma 3 che vieta di “derogare i limiti”, quindi, a rigore, anche di allungarli. Però la prassi e la giurisprudenza lo interpretano nel senso che la deroga è vietata se comprime i tempi, è tollerata se li espande, a beneficio dell’inquilino che si assicura il godimento per un periodo più lungo. Vero pure che queste logiche, in periodi di recessione e deflazioni, andrebbero riparametrate, ma, per ora, abbiamo ancora la mentalità che quelle leggi ispirò. La “allungabilità” della durata dei periodi dei contratti commerciali è confermata dalla disposizione di cui all’articolo 16-duodecies del D.L. 207/2008 convertito in legge 14/2009. Autorizza l’applicazione di una adeguamento Istat superiore al limite del 75% per qui contratti che prevedano periodi più lunghi del minimo di legge.
Tutto ciò premesso chiariamo che l’inquilino può validamente dare disdetta alla scadenza di ciascun periodo di locazione.
I GRAVI MOTIVI
In caso di gravi motivi l’inquilino può dare disdetta in ogni momento, ma con un anticipo, rispetto al rilascio, di sei mesi, come per legge. Ovviamente non significa, come volgarmente si dice, che l’inquilino non se ne può andare prima del decorso del sesto mese. Può andarsene, è chiaro, ma deve continuare a pagare i canoni fino alla scadenza del sesto mese dalla conoscenza della disdetta.
Ma quali sono i “gravi motivi”? Già nel 2005 la Cassazione diede una precisa definizione, che ancora oggi resiste, tanto è appropriata: Cassazione Sezione III, sent. n. 15620/ 2005: “I gravi motivi devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto”. Così poi anche Cassazione 5911/2011, 10980/1996, 260/91, 11466/92, 1098/94, 5328/2007, 12291/2014. Un elenco puramente esemplificativo: trasferimento della sede di lavoro, perdita del lavoro, condizioni di salute aggravatesi ed incompatibili con l’alloggio attuale, malattie di parenti stretti che richiedono un trasferimento per l’assistenza ed anche motivi meno tristi, come il fatto che nuove nascite allargano la famiglia e quindi l’alloggio non è più sufficiente. Secondo alcuni vale anche la inidoneità materiale o sanitaria dell’immobile. Ma io direi che qui siamo nel campo della risoluzione per inadempimento, posto che il locatore deve mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto (art. 1575 c.c.).
LE DEROGHE
Contrattualmente, cioè con l’accordo di tutte le parti, si può derogare a questa modalità legale di disdetta da parte dell’inquilino: si può prevedere un termine più breve (ma non invece maggiore) e si può concedere il c.d. “recesso libero”. Cioè la possibilità di dare disdetta senza i gravi motivi. Anzi, a questo punto, senza motivo alcuno. Semplicemente per scelta. Ed è questa la modalità più praticata, nei fatti.
Il proprietario/locatore può dare disdetta solo alla scadenza del secondo periodo di locazione o dei successivi. Può darla anche alla fine del primo periodo, ma solo in casi eccezionali e tassativamente previsti dall’articolo 3 della legge 431/98. È bene utilizzare questa possibilità con cautela e correttezza, perché, in caso contrario, il danno da risarcire all’ex inquilino è, come minimo, 36 volte il canone di locazione.
CASI PARTICOLARI
A volte la disdetta viene data da uno solo degli inquilini o da uno solo dei proprietari. La disdetta di un solo conduttore è valida se viene seguita dalla accettazione o da fatti concludenti degli altri. Se invece uno degli altri manifesta l’intenzione di proseguire il contratto, stante la obbligazione passiva solidale, la disdetta non è valida. L’altro inquilino (o gli altri) può proseguire il rapporto contrattuale, pagando l’intero canone. Può anche essere prevista la locazione di una parte esclusiva e delle parti comuni. E qui, allora, non saremo in presenza di un pluralità di inquilini, perché ogni contratto avrò un inquilino, probabilmente. Oppure può essere prevista la parziarietà della obbligazione del pagamento. Allora se un solo inquilino disdetta, gli altri rimarranno e pagheranno solo la loro quota. Ma questo caso è raro, nella prassi.
Dalla parte di proprietari invece si applica il principio del “consenso presunto e reciproco di ciascuno dei comproprietari all’atto di amministrazione compiuto dal singolo”. Vedasi Cassazione Civile n. 14772/2004,. n. 19929/2008, n. 8996/2005, n. 5077/2010. Ma l’atto di gestione di uno dei comproprietari si presume effettuato col consenso degli altri solo se gli altri non manifestano esplicitamente una volontà contraria. A quel punto, per dirimere la questione, non resta che una “assemblea di comunione”, simile a quella di condominio, ove si vada a votare secondo le proprie quote di proprietà (art. 1105 Codice Civile).
QUALI EFFETTI
In conclusione si noti che il momento preciso di validità della disdetta rileva per una serie di adempimenti, non solo nei rapporti proprietario/inquilino: operazioni di riconsegna, registrazione della risoluzione alla Agenzia delle Entrate, eventualmente cessazione della agevolazione Imu sui contratti concordati, disdetta della TAriffa RIfiuti, disdetta delle varie utenze, cambio della residenza, calcolo delle quote condominiali spettanti all’inquilino.