In materia di limitazione al diritto degli altri condòmini di utilizzare la cosa comune, le facoltà attribuite dal regolamento condominale al singolo condomino sono tassative e non possono essere in alcun modo estese in maniera analogica. È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 4735 del 10 marzo 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 10.3.2015, n. 4735
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RITENUTO IN FATTO
1. Impugnata la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il 29 ottobre 2008, che ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Monza ha accolto la domanda proposta da Immobiliare P. di V.B. e G. & C. s.a.s. nei confronti di G.S. s.r.1., e per l’effetto ha condannato quest’ultima a rimuovere i manufatti che chiudevano l’area comune antistante il condominio sito in via …, a ….
1.1. Nel 2001 la società Immobiliare P. aveva agito, in qualità di proprietaria di una unità ad uso ufficio nel condominio indicato, perché fosse accertata l’illegittimità delle opere realizzate nell’area comune dalla G. S., proprietaria di una unità ad uso ristorante, con condanna della convenuta alla rimozione delle stesse.
La società attrice aveva dedotto che il regolamento condominiale riconosceva a G.S. la facoltà di collocare nell’area comune tavoli, sedie e fioriere, e che la predetta società non aveva ottenuto l’autorizzazione dagli altri condòmini a chiudere l’area, non essendosi verificate le condizioni previste dalla delibera del 13 ottobre 1997. Nondimeno, la G.S. aveva chiuso l’area al passaggio, ed inoltre usava in modo esclusivo i cunicoli sotterranei per il deposito di materiale.
1.2. Dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condòmini, il Tribunale aveva accolto la domanda.
1.3. La G.S. proponeva appello nel quale ribadiva di aver esercitato il diritto di uso acquistato con l’atto di compravendita dell’immobile di sua proprietà, e richiamava le delibere assembleari del 13 ottobre 1997 e del 30 settembre 1999 che, a suo dire, l’avevano autorizzata a chiudere il porticato.
Resisteva la società Immobiliare P., rimanevano contumaci gli altri condòmini.
2. La Corte d’appello rigettava il gravame osservando che il regolamento condominiale, richiamato nell’atto di compravendita dell’unità immobiliare di proprietà di G.S., prevedeva una particolare facoltà d’uso dell’area comune, connessa all’esercizio dell’attività di ristorazione svolta in detta unità. Trattandosi di previsione alla quale corrispondeva una limitazione dell’uso condominiale dell’area comune, non potevano riconoscersi facoltà diverse da quelle espressamente indicate – e cioè la collocazione di tavolini, sedie e fioriere -, il cui corretto esercizio non precludeva in modo assoluto il passaggio degli altri condòmini sull’area comune. Non aveva pregio, pertanto, il rilievo dell’appellante, secondo cui non vi sarebbe, nella specie, differenza tra limitazione di fatto e totale negazione del diritto di passaggio degli altri condòmini.
L’assunto era confermato dal fatto che G.S. aveva chiesto all’assemblea condominiale di essere autorizzata a chiudere il porticato, senza peraltro ottenere l’autorizzazione, posto che non si erano verificate le condizioni indicate nella delibera del 13 ottobre 1997.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.S. s.r.1., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso Immobiliare P. di V.B. e G. & C. s.a.s..
Sono rimasti intimati i condòmini (omissis).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ..
Si assume che la Corte d’appello avrebbe interpretato il contenuto della facoltà d’uso dell’area comune, riconosciuta a G.S. dal regolamento condominiale, in contrasto con la previsione di cui alla norma indicata. Secondo la Corte d’appello, infatti, la facoltà d’uso doveva ritenersi circoscritta al posizionamento di sedie, tavoli e fioriere, con modalità tali da non precludere in assoluto il passaggio degli altri condòmini sull’area comune, mentre l’art. 1102 cod. civ. consente al singolo partecipante l’uso della cosa comune per trarne ogni possibile utilità, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
La Corte d’appello non avrebbe considerato che la facoltà riconosciuta alla G.S., di posizionare tavoli e sedie, contornati da fioriere, senza soluzione di continuità, conteneva in sé la possibilità che fosse impedito il passaggio degli altri condòmini sull’area comune. Questi ultimi, peraltro, non avevano mai manifestato interesse ad utilizzare l’area comune per qualsivoglia scopo.
In ossequio al disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, è formulato il seguente quesito di diritto: “Se l’elencazione di alcune facoltà attribuite al singolo condomino dall’atto di acquisto e dal regolamento condominiale, circa l’uso delle parti comuni dell’edificio, sia tassativa oppure suscettibile di estensione analogica nel rispetto dei criteri di cui all’art. 1102 cod. civ.”.
2. Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione, in assunto omessa, insufficiente e contraddittoria, su punti decisivi.
In particolare, si contesta che la Corte d’appello non avrebbe motivato sulla differenza tra la limitazione di fatto del diritto dei condòmini che era legittimamente determinata dalla collocazione, nell’area comune antistante il ristorante, di sedie, tavolini e fioriere, e quella derivante dall’apposizione di una veranda di vetro.
Si assume, come già nel precedente motivo, che la facoltà d’uso dell’area comune, riconosciuta alla G.S., consentiva, attraverso il posizionamento di tavoli, sedie e fioriere, queste ultime senza soluzione di continuità, di chiudere l’area al passaggio degli altri condòmini.
Nella specie, non vi era dunque differenza tra limitazione del diritto degli altri condòmini (di passare attraverso l’area in oggetto) e negazione totale di quel diritto, e su tale rilievo la Corte d’appello non aveva fornito una motivazione idonea a supportare la tesi contraria.
3. Le doglianze – che possono essere esaminate congiuntamente perché censurano, sotto profili diversi, la ricostruzione del contenuto della facoltà d’uso dell’area comune in capo alla ricorrente – sono infondate.
3.1. L’interpretazione del regolamento condominiale operata dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione di canoni di ermeneutica oppure vizi logici (ex plurimis, Cass., sez. 2°, sentenza n. 17893 del 2009), nella specie insussistenti.
Non vi può essere dubbio, infatti, riguardo alla tassatività delle facoltà attribuite dal regolamento condominale al singolo condomino, trattandosi di limitazione al diritto degli altri condòmini di utilizzare la cosa comune, e ciò impedisce l’invocata estensione analogica di tali facoltà.
3.3 Non sussiste neppure il denunciato limite motivazionale di cui al secondo motivo di ricorso.
La Corte d’appello ha esaminato la questione della asserita coincidenza, nella specie, della limitazione del diritto degli altri condòmini all’uso dell’area comune con la negazione del diritto stesso, e la ha superata attraverso il riferimento alla nozione di “corretto esercizio” della facoltà d’uso riconosciuta alla G.S., dalla quale deve ritenersi esclusa, secondo la stessa Corte distrettuale, la collocazione di fioriere senza soluzione di continuità, tali cioè da impedire del tutto il passaggio sull’area in questione.
L’argomento risulta sufficiente e non contraddittorio, essendo agevolmente comprensibile la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2.700, di cui euro 200, per esborsi,
oltre spese generali e accessori di legge.