[A cura di: Paolo Ciri – delegato Uppi Spoleto]
L’argomento della cauzione merita di essere riesaminato, alla luce della recente sentenza della Cassazione (3882 del 25/2/2015), la quale, per altro, conferma un orientamento già noto.
Andiamo per ordine. Per deposito cauzionale intendiamo quella somma che l’inquilino può consegnare al proprietario all’atto della firma del contratto di locazione o affitto. Spesso è chiamato anche “deposito”, “cauzione” o, impropriamente, “caparra”.
Vediamone anche la funzione giuridica, la quale si può ricavare da una costante giurisprudenza della suprema corte (Cassazione 9442/2010, 14655/2002, 4725/1989):“La funzione del deposito cauzionale è quella di garantire il proprietario del corretto adempimento di tutte le obbligazioni, legali e convenzionali, assunte dal e gravanti sul conduttore”.
Di solito il deposito è un multiplo del canone, ma ciò non è assolutamente necessario, può essere una cifra liberamente determinata, nei limiti sotto illustrati.
Il proprietario può non richiederlo, ma se lo pretende non può averlo in misura superiore al triplo del canone. Ciò è stabilito dall’art 11 della Legge 392/78, sopravvissuto alle abrogazioni della legge 431/98. L’inquilino che eventualmente abbia versato un deposito di misura superiore potrà richiedere indietro la differenza in qualunque momento.
È da ricordare che al termine della locazione, al momento della restituzione dell’immobile (delle chiavi), il deposito cauzionale va restituito. Può essere trattenuto se ci sono danni o insoluti, ma solo in presenza di precise condizioni: consenso dell’inquilino, citazione giudiziale per danni o debiti, specifiche ed apposite clausole in contratto. In mancanza ci si trova di fronte ad un credito liquido ed esigibile (da parte dell’inquilino) e ad un credito da accertare (da parte del proprietario) per cui essendo di genere diverso non possono essere compensati. Vedasi l’art. 1243 C.C. o la Cassazione Civile 4725/1989 o, appunto, la recente 3882/2015.
In tema di danni, incidentalmente, ricordiamo che il proprietario è tenuto a tollerare il normale degrado d’uso ( art. 1590 Codice Civile: “il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto”). Inoltre è interessantissimo e molto logico il concetto introdotto dalla sentenza di Cassazione 6417/1998: se ci sono dei danni (oltre il 1590 C.C.), il conduttore non deve risarcire solo il costo del ripristino, ma anche il valore del canone di locazione per tutto il periodo necessario ad effettuare i lavori. E ciò senza che il proprietario debba provare di aver ricevuto richieste di locazione e di non averle potuto accettare per la indisponibilità dovuta ai lavori.
Non è possibile trattenere il deposito cauzionale senza corrispondere gli interessi, come spesso si legge nei contratti. Se si inserisce nel contratto questa banale ma illegale furbizia, la clausola si ha per non apposta. Lo stabilisce il sopra citato articolo 11 e lo conferma la Cassazione 979/1995. Peraltro gli interessi da pagare all’inquilino (che è il titolare di quella somma) vanno calcolati al saggio legale. Attualmente lo 0,5 % all’anno. Comunque gli interessi sono dovuti anche se non richiesti.
La legge prevede, poi, che gli interessi legali siano versati all’inquilino ogni anno, eliminando così alla base il problema dell’anatocismo. Ma nella pratica non lo fa praticamente nessuno. Anzi, sono pochi i proprietari che riconoscono gli interessi a fine locazione, limitandosi la maggior parte di loro a restituire quanto avuto.
Normalmente il deposito cauzionale viene versato al momento della firma. A volte, però, l’inquilino ottiene di versarlo in un momento successivo, o in più rate. Però se poi non lo fa sorge un credito in capo al locatore, ma il contratto resta valido: non può per questo essere sciolto per inadempimento (Tribunale Civile di Brescia, sez. III, 17 febbraio 1992).
Infine, chi compra un immobile affittato o locato assume ope legis tutti i diritti ed i doveri previsti nel contratto, compreso quello della restituzione del deposito. Per cui alla fine della locazione dovrà dare all’inquilino uscente la somma risultante come deposito dal contratto e, se non già pagati anno per anno, tutti gli interessi. E ciò anche qualora il venditore non abbia consegnato all’acquirente il deposito ricevuto. Per cui, in caso di acquisto di immobile locato o affittato, occorre farsi consegnare il contratto, leggerlo e farsi versare la cauzione che il venditore detiene. Ovviamente poi occorre provvedere alla voltura presso la Agenzia delle Entrate.
Oltre al deposito cauzionale di somma liquida, vi possono essere altre forme di garanzia: le fideiussioni bancarie, le polizze assicurative, la garanzia del terzo. Senza scendere nel merito del valore giuridico di taluni contratti di questo tipo o nel costo commerciale a volte richiesto, è però il caso di ricordare che in questi casi, se non si è in opzione cedolare, si paga una apposita imposta di registro, che non è lieve: è lo 0,50% del monte canoni del primo periodo. Per esempio, un contratto libero in opzione ordinaria da 500 euro al mese ha una base imponibile di 500 x 48 = 24.000 euro e quindi una imposta, aggiuntiva a quella di registro, di 120 euro.
Infine, va censurato l’uso ormai invalso tra molti inquilini di non pagare le ultime mensilità, in quanto sono “coperte” dalla cauzione. L’abuso si fonda sulla impossibilità tecnica di ottenere giudizialmente il pagamento delle mensilità insolute prima della conclusione del rapporto locatizio, ormai al termine, in queste fattispecie. Contro questa modalità c’è ben poco da fare. Tanto che alcuni proprietari rinunciano ad esigere il deposito, ritenendo che poi comunque verrà vanificato da questo abuso.