[Intervista a cura di: Rebecca Genesio]
Svolta importante, lo scorso 19 marzo, in seno a Confedilizia, la storica associazione della proprietà immobiliare che ha eletto come nuovo presidente nazionale Giorgio Spaziani Testa, il quale va così a sostituire Corrado Sforza Fogliani, rimasto alla guida della federazione per più di 25 anni. Un passaggio di consegne tanto più delicato in quanto avvenuto in un momento di grande difficoltà per l’intero comparto del mattone, compresso tra crisi economica, peso delle imposte e timori per gli effetti della futura riforma del catasto.
Con quale spirito Spaziani testa ha raccolto questa sfida? E quale taglio darà alla propria presidenza? Italia Casa e Quotidiano del Condominio, insieme alla redazione del Tg del Condominio, lo hanno chiesto al diretto interessato.
Presidente,innanzitutto complimenti per la sua nomina. Come la ha accolta? Molti addetti ai lavori l’avevano prevista: lei se l’aspettava?
C’è stato un consenso nell’ambito della nostra organizzazione, legato all’idea di dare una continuità alla Confedilizia, attraverso la scelta di una persona che aveva svolto, in questi ultimi anni, un ruolo diverso, ossia quello di segretario generale, ma che avesse comunque collaborato con il presidente Corrado Sforza Fogliani in tutte le battaglie di questi anni. È stata una scelta condivisa all’interno del consiglio dell’associazione.
Lei ha appunto lavorato fianco a fianco con Corrado Sforza Fogliani. Ora si trova a doverne raccogliere l’eredità professionale. Come vive questa responsabilità?
La vivo certamente con preoccupazione da un certo punto di vista, ma si tratta anche di un grande stimolo: preoccupazione, nel senso che il presidente Sforza Fogliani ha condotto con estrema autorevolezza per tanti anni la Confedilizia, ha costituito e costituisce tuttora un punto di riferimento per la proprietà immobiliare. Ha portato la Confedilizia in alto in tanti anni, e ha difeso soprattutto con forza e con molta determinazione i diritti della proprietà, ma non solo: ha tutelato anche i principi generali dello statuto di diritto, principi di equità che valgono nella loro completezza, a prescindere dalla categoria specifica dei proprietari immobiliari, per cui è una grande responsabilità e avrò la necessità dell’aiuto di tutta la Confedilizia e di tutte le nostre associazioni territoriali per poterla sostenere.
Il suo predecessore ha spesso puntato l’indice sull’eccessiva tassazione immobiliare. Anche lei ritiene che sia questo il principale problema che affligge la proprietà edilizia?
Non c’è dubbio: lo è sempre stato, ma lo è in particolare dalla fine del 2011 ad oggi. È un’urgenza dalla quale non si può sfuggire. Qualsiasi altro argomento passa in secondo piano; lo sappiamo bene, ma è importante ripeterlo: quello che è accaduto dal 2011 è stato, in sostanza, chiedere ad un solo settore di far fronte alle esigenze che si sono manifestate a livello nazionale e internazionale, per via di politiche di rigore con le quali si è misurata l’Italia, con i vari Governi avvicendatisi. Lo ribadisco: a un solo settore è stato chiesto di apportare le risorse economiche per queste politiche, e queste corrispondono di fatto, in media, intorno ai 15 miliardi di euro in più ogni anno di tassazione aggiuntiva. Si tratta, quindi, di una misura che non può essere sopportata da un unico comparto: 15 miliardi in più di sola tassazione locale sono veramente tanti, a maggior ragione se si pensa che si tratta della tassazione che esclude la reddittività del bene colpito, perché sappiamo che a livello locale, a differenza di quanto accade per le imposte statali ed erariali, la tassazione dell’immobile avviene esclusivamente sulla base del valore degli stessi, per cui a prescindere da qualsiasi reddito che può essere prodotto. Quindi cosa sta accadendo da tre anni a questa parte? I proprietari devono attingere sempre più, quando ci riescono, da altre fonti, per far fronte a questi oneri, quindi dal proprio reddito, se lo hanno, oppure dai propri risparmi accumulati. È ovvio che in questo modo un sistema non può stare in piedi più di tanto.
In questi anni, per denunciare tutto questo, è stato spesso utilizzato lo slogan “La casa usata come bancomat”. Condivide questo pensiero?
È esattamente quello che sta avvenendo e che non deve più capitare. Il principio dovrebbe essere quello di tassare gli immobili, come qualsiasi altro bene, per ciò che producono. Anche prima c’era una tassazione patrimoniale, ma con l’Ici era a livelli sopportabili: infatti, i 9 miliardi annuali che venivano sborsati, non hanno nulla a che fare con i 25-26 miliardi richiesti in questi anni, soprattutto nel 2014. È assolutamente necessario invertire questa rotta. Noi lo diciamo da tanti anni, e non solo per ragioni di equità, e quindi non solo in riferimento ai proprietari immobiliari, i quali sono stati colpiti troppo dalla tassazione rispetto agli altri, ma anche per ragioni di economia generale, di livello di depressione provocato sui settori collegati al mondo immobiliare. Infine – elemento meno facilmente valutabile da parte di qualcuno – per quanto riguarda le conseguenze sui consumi da parte dei soggetti interessati si è creato un effetto a catena di distorsione e depressione del settore, che ha poi comportato negatività estesa. Se non si parte dall’inizio, se non si dà sollievo almeno in parte al settore colpito, allora non si avranno conseguenze positive neanche per gli altri ambiti.
In sostanza, lei sta dicendo: dato che l’edilizia è uno dei cardini dell’economia del Paese, se la si va a colpire,magari con un’elevata imposizione fiscale, si genera una sorta di effetto domino.
Effetto domino, esatto. Si parla, un po’ sbagliando, di nuove costruzioni, ma in realtà quello che è avvenuto nel mondo dell’edilizia riguarda in particolare le tante attività di manutenzione e ristrutturazione, che hanno subìto la perdita di posti di lavoro oltre che la chiusura delle imprese stesse. Il motivo di tutto ciò è dovuto al fatto che le imprese edili in tanti casi non costruiscono, o lo fanno molto meno, ma si occupano di recupero degli immobili, ed è quello che è venuto a mancare. Il segnale della riduzione dei posti di lavoro e la chiusura delle imprese è un’indicazione evidentissima di ciò che è avvenuto: si riducono drasticamente le compravendite immobiliari, e di conseguenza, si riducono tutte quelle attività che sono collegate allo scambio di immobili. Quando si compra una casa, generalmente il proprietario attua degli interventi, ma se non si attiva più questo circolo virtuoso, le conseguenze sono dannose per tutti.
Il recupero dell’immobile può riguardare il piccolo proprietario, ma se si allarga il punto di vista verso un panorama più ampio, sarebbe utile andare a valorizzare tutti gli immobili che ci sono nel nostro Paese per rivitalizzare il settore dell’edilizia, in modo da aiutare ad arginare quegli aspetti come l’emergenza abitativa e la morosità incolpevole…
Sono tutti fattori collegati, in effetti. Si faceva riferimento al’affitto, che è un punto centrale che la politica fa fatica a vedere, perché ha effetti diluiti nel tempo. È chiaro che, come sappiamo, i contratti di locazione hanno dei diritti e degli obblighi ben precisi a carico di entrambe le parti, non si chiudono in un giorno, ma necessitano del trascorrere degli anni e quindi della possibilità di concluderli. Se non si dà più un minimo di redditività all’investimento immobiliare, è chiaro che nel medio e nel lungo periodo verrà a mancare una fetta importantissima di immobili sul mercato della locazione. Ricordiamo che la locazione è garantita quasi esclusivamente dalla piccola proprietà immobiliare, e in Italia da sempre esiste una tradizione di investimento fatta di uno, due beni da dare in locazione. Se questi immobili non sono più immessi sul mercato delle locazioni, viene a mancare una possibilità per tutti coloro che non possono permettersi di acquistare, ma che comunque non hanno la facoltà di sfruttare l’edilizia popolare, che è disastrata dal punto di vista della gestione, ma anche se fosse perfetta, cosa che non è in Italia, non potrebbe dare risposte a tutti. Nel territorio italiano c’è una grandissima quantità di immobili che fra non molto non ci saranno più se non si inverte la tendenza. Questo scenario fa fatica ad essere visto, perché bisogna guarda un po’ più lontano, cosa che certa politica spesso non fa.
Anche in quest’ottica, che cosa si aspetta dalla riforma del catasto? Prevale il timore o pensa che le associazioni di categoria riusciranno a indirizzare il provvedimento verso un’effettiva equità?
Se si riuscirà non ne ho idea; quello che so è che da parte nostra, anche coinvolgendo altre associazioni di tutti i settori, stiamo operando affinché questa riforma abbia caratteristiche di equità, quindi abbiamo privilegiato l’impegno rispetto alle grida allarmistiche su ciò che potrà accadere. Continuiamo su questa strada, però ben consci dei rischi e della possibilità, per esempio, che i decreti attuativi della legge di delega fiscale non siano tali da garantire nel modo opportuno l’equità dichiarata. È accaduto con il primo decreto legislativo, in cui certi principi non sono stati subito inseriti, ma è stato fatto successivamente grazie all’intervento delle Camere. Speriamo che per il prossimo che è in arrivo, l’apporto delle Camere, seppur importante, non diventi fondamentale: auspichiamo che il Governo presenterà un testo già tale da rispettare al massimo le garanzie che sono state inserite a suo tempo nella legge delega. Dopodiché, andrà seguita la successiva attuazione pratica della legge, e bisognerà verificare nell’ambito delle commissioni censuarie, se l’Agenzia delle Entrate opererà nel rispetto della realtà, e se fotograferà in modo realistico il patrimonio immobiliare, in modo che la tassazione potrà essere equa.
Un’ultima domanda non può non riguardare il condominio: qual è il suo bilancio sulla riforma e che cosa pensa, in particolare, della formazione degli amministratori?
Sulla riforma del condominio in genere, noi ci siamo sempre espressi dicendo che si è trattato, da un lato, di un’occasione mancata, in quanto come riforma, a suo tempo, si poteva fare un po’ di più; si poteva avere più coraggio oltre che dare al condominio una connotazione più netta. Noi parlavamo di capacità giuridica , ma comunque c’era la possibilità di far sì che, attraverso appunto una connotazione più precisa del condominio in quanto tale, si creassero degli effetti più virtuosi sulla vita condominiale in genere e anche sugli amministratori stessi. Questo non è stato fatto, ma è stata comunque condotta un’operazione di riordino abbastanza soddisfacente. Con riferimento in particolare alla formazione, c’è soddisfazione, in quanto nella riforma ne è stato previsto l’obbligo, cosa che prima non era presente; poi è stato fatto un decreto ministeriale secondo noi tale da garantire e tutelare la possibilità per tutti, comprese le nostre associazioni territoriali, di svolgere al meglio l’attività di formazione, e quindi garantire agli amministratori in essere e ai potenziali professionisti, quel bagaglio di conoscenze e di informazioni utili per svolgere l’attività. Le cose stanno andando bene dal nostro punto di vista, le nostre associazioni stanno svolgendo i corsi in giro per l’Italia. Noi stessi a livello nazionale abbiamo attivato un corso online, per cui la strada tracciata sembra essere quella giusta.