[A cura di: avv.Nunzio Costa – pres. Acap]
Spesso ci concentriamo sulle classiche responsabilità dell’amministratore: la tenuta dei conti, dei registri e la trasparenza nella contabilità, dimenticando le ipotesi più gravi, ossia quelle che possono portare alla sua revoca, ovvero anche a qualcosa d’altro. Mi riferisco a quelle ipotesi di revoca, non tassative, ma ormai codificate, che il legislatore ha voluto inserire nel codice a titolo esemplificativo e non esaustivo.
Tuttavia quelle ipotesi recate dall’art. 1129 c.c. altro non sono che la codificazione di un processo di stratificazione giuridica durata circa 70 anni. Orbene nella inerzia del Legislatore, incapace di modificare gli istituti giuridici all’evoluzione sociale, la Giurisprudenza ha interpretato le leggi esistenti, tentando di adeguarli alle mutate realtà sociali. Sicché nel 2012, quando si è trattato di infilare la tanto agognata riforma tra una legislatura in declino ed una nuova appena nascente, i tecnici della produzione normativa hanno fatto l’unica cosa plausibile: hanno raccolto nella novella tutti i principi giurisprudenziali pacifici ed ormai sedimentati ed acquisiti.
Questa scelta reca sensibili conseguenze, prima delle quali la immodificabilità delle cause di revoca. Ai sensi dell’art. 101 della Costituzione, il giudice è soggetto soltanto alle legge. È una norma di garanzia a tutela della indipendenza della Magistratura e significa che alcun potere dello Stato può gerarchicamente sovrapporsi al singolo magistrato che in quel momento sta affrontando il caso che gli è stato sottoposto. Nemmeno lo stesso capo dell’ufficio giudiziario in cui lavora. Ma è anche una norma a tutela del cittadino, che ha diritto a vedere trattato il suo caso secondo le norme esistenti al tempo del giudizio, con l’impossibilità da parte del magistrato di riferirsi a principi ed argomentazioni equitative o diverse dalla legge applicabile.
Quindi, prima della riforma potevamo portare alla attenzione del magistrato un caso di revoca e far decidere allo stesso se l’amministratore avesse o meno commesso quelle gravi irregolarità paventate dal Legislatore. Questi avrebbe deciso in base al concetto di gravità espresso dal comune sentire ed alle interpretazioni giurisprudenziali nel frattempo stratificate. In ogni caso, trattandosi di un Paese, il nostro, in cui la singola sentenza vale solo tra le parti che la hanno stimolata, le sentenze stesse non sono mai obbligatorie per il magistrato decidente, che nel caso di specie potrebbe ritenere quella “grave irregolarità, non tanto grave” perché, per esempio, l’amministratore nelle more ha sanato la situazione, ovvero non si trova più in condizione di irregolarità.
Ebbene, se dobbiamo prendere quanto c’è di buono dalla Riforma, questa è una cosa dalla quale attingere a piene mani. L’avere codificato le ipotesi di grave irregolarità significa avere oggettivizzato la causa di revoca e la conseguente responsabilità dell’amministratore: il giudice non avrà più la possibilità di valutare il grado di colpa dell’amministratore, né il grado di sanzione e quindi la sua responsabilità. Dovrà semplicemente applicare la legge, verificare se il comportamento tenuto rientra tra quelli codificati, se è stato realmente commesso e, se la risposta è in entrambi i casi positiva, dovrà applicare necessariamente la sanzione legalmente prevista, anche nell’ipotesi, probabile, in cui l’amministratore, in corso di giudizio, abbia tentato di mitigare la sua colpa con un intervento urgente.
Per rendere chiaro il concetto facciamo un esempio: condominio in condizioni di sicurezza precaria. Il condomino chiede conto all’amministratore e chiede la convocazione di una assemblea. In ogni caso l’amministratore si dimostra inerte. Il condomino aziona la revoca. A questo punto l’amministratore tenta di riparare alla sua colpa ed ordina un intervento urgente postumo alla notifica, di ripristino delle condizioni di sicurezza. Al momento della discussione innanzi al Collegio la situazione è modificata e ripristinata. Orbene tale atteggiamento tenuto dall’amministratore non fa altro che confermare l’esistenza della causa di responsabilità che ha determinato la richiesta di revoca e quindi l’applicazione della sanzione unica possibile.
Altra conseguenza derivante dalla codificazione di alcune ipotesi di revoca è la valorizzazione delle situazioni di grave irregolarità, con la conseguente ineluttabilità nella applicazione della sanzione: il giudice dovrà sempre e solo verificare se si sia verificata una delle ipotesi previste, anche se tale ipotesi si sia avverata nelle more del giudizio di revoca, ovvero nelle more siano emersi nuovi profili di irregolarità.
Ancora una volta, l’esempio aiuta nella comprensione: Il condomino chiede la documentazione contabile e non la ottiene; non potendo rilevare nulla opta per altri e diversi motivi di revoca. Nelle more del giudizio emerge che l’amministratore ha effettuato pagamenti senza usare il conto corrente specifico del condominio, ma effettuando il pagamento con bonifico per contanti presso la banca dell’appaltatore. Ebbene tale ipotesi contravviene il 1129 comma 7, secondo cui: “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio”. Tuttavia si tratta di una causa di revoca che il condomino non aveva portato alla attenzione del magistrato. Ebbene, il codice ha valorizzato le cause di revoca, indicando anche un procedimento molto snello, ossia quello del ricorso al Collegio, privo di eccessive formalità, dimostrando di porre maggiore attenzione alla sussistenza della grave irregolarità piuttosto che al principio della domanda. Pertanto, se nel corso del giudizio, si ravvisassero nuove e diverse cause di irregolarità e le stesse venissero contestate all’amministratore, il giudice dovrebbe comunque valutarle e l’amministratore non potrebbe sottrarsi al contraddittorio.