[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro Studi Confedilizia]
L’istanza volta al declassamento o alla riduzione della rendita può essere proposta anche se non ricorrono le condizioni previste nell’art. 38 del Tuir (il quale, per l’ipotesi in cui per un triennio il reddito lordo effettivo di una unità immobiliare differisca almeno del 50% dalla rendita catastale, prevede che l’Amministrazione proceda a verifica al fine di un diverso classamento o determinazione della rendita).
Non vi è necessità, insomma, di ricorrere a categorie definite a fini peculiari per dare concretezza alla facoltà del contribuente di ottenere l’aggiornamento (rebus sic stantibus) delle valutazioni degli enti immobiliari ai fini catastali. In tal caso il giudice procederà ad una valutazione in cui ben può tener conto di mutate condizioni, della vetustà dell’edificio, della non rispondenza dell’immobile alle esigenze attuali; e potrà eventualmente disapplicare i criteri elaborati dalla Amministrazione. D’altronde, i termini di abitazione “signorile”, “civile”, “popolare” richiamano nozioni presenti nell’opinione generale, a cui corrispondono caratteristiche che possono con il tempo mutare, sia sul piano della percezione dei consociati (si pensi al maggior rilievo che assume nella mentalità di oggi il numero dei servizi igienici, la collocazione centrale o periferica di un immobile), sia sul piano oggettivo, per il naturale deperimento delle cose, cui non abbia posto rimedio una buona manutenzione; o per le mutate condizioni dell’area ove l’immobile si trovi.
Quindi può accadere che abitazioni in passato ritenute modeste o “popolari” divengano “civili” o “signorili”, e viceversa che immobili di pregio perdano la qualifica superiore. Ed allo stesso modo si deve procedere nell’ipotesi in cui un contribuente deduca non già un mutamento nella valutazione di dati al tempo correttamente denunciati, ma una sopravvalutazione dei dati stessi, donde poi l’attribuzione di una rendita che non sia conforme alle caratteristiche tipologiche del bene, ovviamente sempre sul piano della percezione che i consociati ne hanno. Né vi è ragione di prospettare l’imprescindibilità dell’esistenza di un “interesse generale”, dovendosi invece ritenere sufficiente l’esistenza di una situazione soggettiva attiva del singolo contribuente, cui certamente pertiene il diritto – garantito anzitutto dall’art. 53 della Costituzione – di concorrere alle spese pubbliche in ragione della reale capacità contributiva, siccome si esprime lo stesso anche per il tramite della corretta applicazione dei criteri di valutazione catastale degli immobili. Così la Cassazione con le sentenze nn. 2296 e 2297 del 13.2.’15 (Pres. Cicala, Rel. Caracciolo).