[A cura di: Andrea Cartosio – Ist. naz. tributaristi]
Il reverse charge o inversione contabile è un operazione finanziaria introdotta, in origine, dalla Comunità Europea per combattere l’evasione fiscale connessa al pagamento dell’IVA. La metodologia di applicazione del reverse charge si ha quando un soggetto passivo Iva, in qualità di cedente o prestatore di servizi, emette fattura senza l’indicazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) specificando che tale operazione/prestazione è soggetta a reverse charge, come disposto dall’art. 17 del D.P.R. 633/2. Questo obbligherà il destinatario della cessione/prestazione, anch’esso soggetto passivo Iva, ad adempiere al pagamento di tale imposta.
Lo scopo principe dell’operazione finanziaria appena descritta è l’eliminazione dell’evasione fiscale connessa alla detrazione IVA, poiché, con il sistema contabile in vigore fino al 31 dicembre 2014, poteva verificarsi che l’acquirente portasse in detrazione la quota di IVA subita senza che il fornitore avesse effettivamente adempiuto al versamento dell’imposta nelle casse dell’erario.
La legge finanziaria entrata in vigore il 1° gennaio 2015 ha esteso l’applicazione dell’IVA con il meccanismo del reverse charge apportando modifiche sostanziali all’articolo 17, comma 6, del D.P.R. n. 633/72 (modificata all’articolo 1, comma 629, lettera a, legge n. 19/2014) volte proprio alla cancellazione del suddetto “fenomeno”.
Da un’analisi da parte dell’amministrazione finanziaria dello stato relativa all’evasione fiscale connessa al pagamento dell’IVA, il settore maggiormente interessato risulta essere quello edile. Difatti, il nuovo testo normativo riguarda nello specifico le seguenti lavorazioni:
* servizio di pulizia negli edifici;
* nel settore edile sono stati annessi all’applicazione del reverse charge gli installatori di impianti e servizi finalizzati al completamento di edifici anche in assenza di un contratto di subappalto;
* cessione di beni alla grande distribuzione;
* settore energetico.
L’attenta lettura del testo normativo così introdotto dalla legge finanziaria 2015 risultava essere lacunoso in svariati ambiti al fine dell’applicabilità, nel concreto, del reverse charge. Pertanto si è reso necessario un chiarimento alle modifiche apportate all’art. 17 del D.P.R. 633/2 da parte dell’Amministrazione finanziaria dello stato. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 14/E del 27 marzo 2015, precisa al contribuente quali settori e quali interventi sono obbligati all’applicazione del reverse charge. Viene data la definizione di edificio visto come “un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume, e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; il termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come unità immobiliari a sé stanti”. Da tale definizione si può evincere chiaramente il riferimento sia a fabbricati ad uso abitativo sia ad uso strumentale, dunque restano esclusi dall’applicabilità del reverse charge piscine, giardini, parcheggi qualora non rientrino nell’ambito di un edificio.
La circolare 14/E chiarisce anche l’aspetto relativo al rapporto tra appaltatore e subappaltatore, specificando che esso, anche in assenza di un contratto, non inficia l’applicazione di tale istituto. Non vengono ammessi all’applicazione dell’reverse charge i soggetti facenti parte del regime dei “minimi” o “forfettario”.
Per i servizi di pulizia verso i contribuenti persone fisiche o condomini non risultano essere modificate dalla normativa le regole relative alla fatturazione; dunque si evince che il fornitore/prestatore di servizi dovrà indicare regolarmente l’aliquota IVA. Pertanto risulta impossibile l’applicazione dell’inversione contabile.