DISTANZE LEGALI: DEVONO ESSERE RISPETTATE ANCHE DAGLI EDIFICI “IN ADERENZA”
Nel regolamento edilizio sono previste due distanze legali minime: tra gli edifici e dal confine tra i due. L’edificazione di un immobile in aderenza al proprio confine non è dunque lecita. È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10180 del 18 maggio 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 18.5.2015, n. 10180
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La spa M.L., con atto notificato in data 15 gennaio 1997 conveniva avanti al Tribunale di Bergamo L.P. e G.B., e premesso di essere proprietaria di un immobile sito in …, confinante con il terreno dei convenuti, deduceva che costoro avevano costruito un fabbricato in aderenza all’immobile di loro proprietà, in violazione con quanto previsto nel Regolamento edilizio del Comune di …, che per la zona industriale in questione, prescriveva la distanza minima di 10 metri fra le costruzioni e comunque inibiva l’edificazione a distanza inferiore a metri 3 dal confine. Chiedeva pertanto la società attrice la condanna dei convenuti alla demolizione della loro costruzione oltre al risarcimento del danno.
Si costituivano i convenuti contestando la domanda attrice, sostenendo che il loro fabbricato era legittimo in quanto poteva essere costruito in aderenza, atteso che ciò non era esplicitamente inibito dai menzionato Regolamento edilizio.
2. L’adito Tribunale accoglieva la domanda attrice condannando i convenuti ad arretrare il proprio fabbricato in modo da ottemperare alla minima distanza dal confine, oltre al risarcimento del danno.
Avverso la sentenza proponevano appello i P.- B. e ne chiedevano integrale riforma con il rigetto della domanda attrice; resisteva l’appellata e l’adita Corte d’Appello di Brescia con sentenza n. 995/08 depositata in data 20.11.2008, rigettava l’appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado. La Corte distrettuale, seguendo l’indirizzo giurisprudenziale di questa S.C. che citava, riteneva che quando i regolamenti edilizi stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, non poteva – come nel caso di specie – ritenersi consentita (salvo diversa previsione) la costruzione in aderenza o in appoggio, atteso che l’imposizione di un distacco assoluto dal confine mirava a tutelare interessi generali del territorio, e non solo ad evitare la formazione d’intercapedine nociva all’igiene, alla salute ed alla sicurezza.
3. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i P.-B. sulla base di sulla base di 2 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso la spa M.L..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il 1° motivo del ricorso denunziando la violazione degli artt. 873, 874, 875 e 877 c.c. deduce che il regolamento edilizio, prescrivendo all’art. 29, 6° comma lett. c) soltanto la distanza minima di dieci metri tra i fabbricati, non escludeva la facoltà di costruire in aderenza.
A corredo del motivo viene posto il seguente quesito di diritto:
“Dica la Corte se il diritto del proprietario confinante di costruire in aderenza al confine sussiste quando il regolamento edilizio fissa la distanza tra le costruzioni senza vietare le costruzioni in aderenza o sul confine”.
La doglianza non ha pregio.
In conformità con la più recente giurisprudenza di questa Corte (alla quale si aderisce), si deve ritenere che il criterio della prevenzione, di cui agli artt. 873 e 875 c.c. può essere derogato dal regolamento comunale edilizio, ma ove questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse dal confine, salvo che lo stesso consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in appoggio; in tale ipotesi il primo costruttore ha la scelta tra l’edificare a distanza regolamentare e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo, ma non anche quella di costruire a distanza inferiore dal confine, poiché detta prescrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l’onere della creazione della zona di distacco (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23693 del 06/11/2014; in senso conf.: Cass. n. 22896 del 30/10/2007).
Nella fattispecie può dunque ritenersi che il regolamento edilizio del Comune di … all’epoca vigente, in relazione a quanto previsto nel combinato disposto degli artt. 29 e 36, vietava l’edificazione a distanza inferiore a m. 3 dal confine.
Invero, l’art. 36 prevede un distacco minimo assoluto della costruzione dal confine (“la minore distanza in assoluto dal confine e da un fabbricato adiacente, misurata nel loro punto più vicino all’erigendo edificio, non deve comunque essere inferiore a mt. 3,00 salvo diversi valori stabiliti da norme di zona nel Programma di Fabbricazione”); ciò che fa ritenere vietata la costruzione in aderenza o in appoggio.
2. Con il 2° motivo, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 6 del PIP – Piano per gli Insediamenti Produttivi – e lamenta che lo strumento urbanistico non consentiva la costruzione in aderenza sotto il diverso profilo che l’art.6 del PIP consentiva la realizzazione di costruzioni adiacenti lungo la linea di confine di due lotti contigui e deduce di avere sollevato la questione nella memoria di replica depositata in appello il 6 ott. 2008. Il motivo è corredato del seguente quesito di diritto:
“Dica la Corte se il Piano per gli Insediamenti Produttivi è uno strumento urbanistico integrativo delle norme del codice civile che disciplinano la materia delle distanze e se, in quanto tale, consente l’applicazione del principio codicistico della prevenzione”.
La doglianza è inammissibile, prospettando una questione di diritto nuova (peraltro contestata espressamente dalla controricorrente, secondo cui la costruzione non si trovava in zona PIP), il cui esame impone una accertamento di fatto non consentito in sede di legittimità (condizioni oggettive e soggettive di applicabilità delle norme PIP).
3. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il criterio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., le spese processuali, sono poste a carico della ricorrente e sono regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.700, di cui € 200 per spese.