Che cos’è che determina la condominialità di un bene? È questa, in ultima analisi, la materia sulla quale si è espressa la Corte di cassazione con la sentenza 12157 dell’11 giugno 2015, avente ad oggetto una controversia relativa alla titolarità (privata o appunto condominiale), di un corridoio nel sottotetto funzionale all’accesso a cantine e ripostigli. Ecco come si sono pronunciati i giudici.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 11.6.2015,
n. 12157
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) La controversia concerne il locale sottotetto, adibito a cantine e ripostigli, del fabbricato condominiale sito in via …, a Chiavari.
La condomina A.C. ha agito nell’ottobre 2003 contro la Immobiliare P. srl lamentando l’abusiva occupazione del proprio locale. Il condominio ha agito nel novembre 2003 in separato giudizio lamentando che la società, resasi acquirente di tutte le altre cantine, le aveva ristrutturate inglobando anche il locale corridoio. Ha chiesto quindi il ripristino della situazione anteriore.
Il Tribunale di Chiavari ha accolto le domande e condannato la convenuta al ripristino.
La Corte appello di Genova con sentenza 27 settembre 2008 ha respinto il gravame.
La società P. srl ha proposto ricorso per cassazione. Gli intimati si sono costituiti con separati controricorsi.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2) Giova premettere che il ricorso concerne soltanto questioni residue nei confronti del condominio e in particolare la natura condominiale del corridoio di servizio dei ripostigli-sottotetto.
L’appello nei confronti della A:C. concerneva peraltro soltanto il risarcimento del danno e la liquidazione delle spese effettuati dal giudice di primo grado, doglianze non più coltivate in questa sede.
3) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 sulla natura condominiale del corridoio.
Con questa censura, munita di quesito ex art. 366 bis c.p.c., parte ricorrente sostiene che sussiste condominialità delle parti comuni dell’edificio se le opere e i beni si trovino in rapporto di strumentalità e servizio rispetto alle singole unità partecipanti al condominio; che ove tale nesso di strumentalità manchi e i beni siano allocati in modo tale da servire solo alcune unità, cade il presupposto della condominialità.
Nella specie tale presupposto difetterebbe, perché lo stesso amministratore avrebbe confessato che i condòmini non utilizzano mai il corridoio dei locali sottotetto e che detti locali sono stati tutti acquistati dalla società, per acquisto derivato dall’unico iniziale proprietario e mai sarebbero stati ricompresi nelle tabelle millesimali.
3.1) Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta – in via subordinata – che la domanda di rimessione in pristino dei locali costituisce atto emulativo “ovvero situazione di abuso di diritto”; che questa censura sarebbe stata apoditticamente respinta dalla Corte d’appello, limitatasi a sostenere che il riconoscimento del diritto di proprietà non è “condizionato alla dimostrazione del tipo di utilizzazione che il proprietario potrebbe ricevere dal bene”.
4) Il ricorso è infondato.
In tema di condominio è stabile insegnamento di questa Corte che la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli.
Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass. 17249/11).
Ciò vale in particolare quando il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, come sembra accadere nel caso di specie, trattandosi di ambienti destinati a ripostiglio-cantina.
Parte ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un titolo di acquisto che valga a documentare la proprietà esclusiva del corridoio. Su quest’ultimo si aprivano le porte di accesso (sentenza appello pag. 6) delle quattordici cantine (sentenza pag. 3) esistenti prima che la ricorrente desse corso ai lavori di trasformazione denunciati con la citazione del condominio.
È invero rilevabile una contraddizione non dichiarata circa la proprietà di dette cantine: nella parte narrativa della sentenza d’appello viene riferito che in citazione il Condominio aveva esposto che le 14 cantine erano “di proprietà di diversi condòmini”. In ricorso si dice invece, tra parentesi a pag. 8, che l’Immobiliare P. srl le aveva acquistate (tranne quella della A.C.) “direttamente dal proprietario del palazzo”.
4.1) Ora, al fine di stabilire che trattavasi di cosa comune, in quanto funzionale all’accesso di più proprietari, è sufficiente rilevare che essendo anche la A.C. proprietaria di parte del sottotetto dell’edificio, il corridoio di accesso alle “cantine” non aveva quella strutturale caratteristica di esclusività che è presupposto indispensabile (ancorché non sempre sufficiente) per presumere la titolarità di un singolo condomino.
Il fatto che almeno due condòmini, cioè la A.C. e la proprietà dante causa dell’immobiliare potessero avere accesso al corridoio del piano sottotetto implica l’esistenza della condizione necessaria e sufficiente per presumere la proprietà condominiale.
È noto infatti che in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano in tale momento costitutivo del condominio, destinate all’uso comune (Cass. 16292/02). Per tale si intende l’uso effettivo, o anche solo potenziale, del numero minimo di due soli comproprietari, come nel caso di specie. È quindi corretta la sentenza impugnata laddove nega rilevanza alla circostanza che il corridoio non desse “accesso ad alcuna entità condominiale”.
Non era questo un criterio decisivo, poiché ha rilievo la destinazione funzionale del bene all’uso di più condòmini proprietari di singole unità sottotetto.
4.2) In una condizione come quella descritta la presunzione di proprietà comune, di cui al citato art. 1117 cod. civ., si fonda su elementi obiettivi che rivelano l’attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo: la creazione di un corridoio presuppone infatti un uso che serva alla collettività, funzionale a due o più numerose proprietà singole, che nella specie sussistevano all’atto della costituzione del condominio e comunque prima dell’acquisto da parte dell’Immobiliare P. srl.
È ben difficile sostenere comunque che un corridoio concepito e costruito per l’accesso a molti distinti vani ripostiglio sia un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio, almeno potenziale, rispetto all’edificio condominiale.
4.3) A nulla rileva pertanto che non sia asservito alla “proprietà di altri condòmini” o che “la generalità di essi” non abbia interesse alla sua utilizzazione. La pluralità dei soggetti potenzialmente utilizzatori non è infatti discutibile e non sussistono le caratteristiche strutturali atte a far presumere che alla nascita del condominio quel corridoio sia stato riservato a un proprietario esclusivo.
Consta infatti, come rileva il controricorso che per molti anni la condizione strutturale sia stata quella tipicamente condominiale, cioè di un bene predisposto per l’uso comune.
5) Del tutto infondata, in questo contesto, è la censura relativa all’abuso del diritto che sarebbe stato emulativamente perpetrato dal condominio nel difendere la condominialità del bene.
Al di là dell’effettivo uso, è infatti concreto interesse dei condòmini conservare la titolarità comune su una pozione dell’immobile che in futuro può sempre rivelarsi suscettibile di usi attualmente imprevedibili, come nel caso di posa in opera di tubi, fili, impianti e simili.
Ciò per tacere della comodità di manovra o di accesso per ispezione di tubi di cui discute il controricorso.
Non a caso un’azione come quella proposta rientra tra le azioni conservative dei beni comuni, per le quali l’amministratore può e deve procedere autonomamente.
6) Il ricorso va quindi rigettato con il favore delle spese per il condominio.
Le spese di lite vanno invece compensate quanto a A.C., costituitasi con i medesimi difensori del condominio, benché la società ricorrente non avesse impugnato le pronunce di merito che la riguardavano direttamente a seguito della citazione a suo tempo da lei notificata.
È vero che il ricorso per cassazione le è stato notificato, come è prudente e doveroso allorquando il giudizio di appello relativo a cause scindibili (art. 332 c.p.c.) si sia svolto in confronto di più parti, ma chiara è stata la impugnazione solo della parte di pronuncia sorta a seguito del contenzioso intrapreso dal condominio.
Non rileva che ella abbia fatto valere ulteriori motivi, riferibili alla posizione assunta in causa, per sostenere la condominialità del corridoio.
Su questo residuo profilo controverso tra l’Immobiliare e il condominio, ogni sua difesa poteva infatti essere sostenuta già quale condomina dello stabile, veste in cui comunque era evocata in giudizio e costituita in resistenza.
Va peraltro rilevato che è infondata la tesi del giudicato interno formatosi a seguito della riconosciuta fondatezza della domanda relativa al ripristino del possesso e del godimento della cantina di proprietà esclusiva e della facoltà di libero accesso.
Non risulta infatti che tale pretesa sia stata fatta valere chiedendo l’esplicito riconoscimento con effetto di giudicato della proprietà condominiale del corridoio di accesso.
Le spese si liquidano in dispositivo in relazione al valore della controversia.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione in favore del Condominio delle spese di lite liquidate in euro 2.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso delle spese generali.
Compensa le spese tra parte ricorrente e parte A.C.