[A cura di: avv. Enrico Morello – resp. centro studi AGIAI]
Per quanto riguarda le cose comuni, che si tratti di maggior utilizzo da parte di un condomino o di innovazione, il criterio è sempre quello di rispettare il pari diritto degli altri condòmini a utilizzarle a propria volta nonché di salvaguardare il decoro architettonico e la stabilità dell’innovazione.
Il caso: intervenendo in merito a diverse questioni riguardanti i rapporti fra un condomino ed il condominio di appartenenza, la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire, nel “correggere” le sentenze emesse da Tribunale e Corte di Appello, i seguenti condivisibili principi di diritto (e prima ancora di buon senso):
AMPLIAMENTO
Ogni condomino può ampliare una preesistente apertura sul muro condominiale purché non venga alterata la destinazione del muro stesso e non venga impedito agli altri condòmini di farne parimenti uso.
La prima questione sottoposta al vaglio della Corte riguardava un ampliamento della apertura che permette alla condomina di attraversare il muro condominiale per accedere alla propria parte esclusiva di immobile: ampliamento (ovviamente) ritenuto lecito dalla condomina che lo aveva praticato, e (altrettanto ovviamente) ritenuta nefasta dal condominio in quanto ne risultava “ alterato il decoro architettonico e reso impossibile il pari uso agli altri condòmini.
La Suprema Corte, intervenendo sul punto, dava ragione alla condomina osservando come l’errore del giudice di secondo grado fosse stato quello di ritenere tale opera semplicemente illegittima in quanto, trattandosi di innovazione, “non era stata sottoposta a delibera condominiale per l’approvazione”.
Il giudice di Appello, viceversa, osserva opportunamente la Corte di Cassazione, avrebbe dovuto limitarsi ad accertare se l’opera in questione (che trattandosi semplicemente di un “uso più intenso di una cosa comune” e non di innovazione non necessitava di alcuna decisione assembleare) ledeva o meno in qualche modo i diritti degli altri condòmini.
La distinzione, in effetti piuttosto evidente, in altre parole è fra utilizzo di una cosa comune in modo da trarne un maggior vantaggio da parte di un singolo condomino, e la modifica stessa della destinazione della parte comune: nel primo caso andranno rispettati i presupposti già detti in precedenza (e cioè il pari diritto degli altri condòmini), mentre nel secondo sarà l’assemblea a doversi pronunciare.
Quale ulteriore (forse persino superflua a questo punto) specificazione, la Corte Suprema ricorda anche alcune sue precedenti decisioni, con le quali si era ritenuto che non dovessero essere sottoposte al vaglio dell’assemblea decisioni inerenti: la trasformazione da parte di un condomino di luci in vedute su un cortile comune; il taglio parziale del tetto per ricavarne un terrazzo; l’apertura nell’androne condominiale di un nuovo ingresso a favore dell’immobile di un condominio.
In tutti questi casi, si ripete, il limite da rispettare è quello del diritto degli altri condòmini a farne parimenti uso, e non quello previsto per la validità delle delibere assembleari in materia di innovazioni.
IL DECORO
Collegamento fra la previsione dell’art. 1120 cod. civ. relativo alle innovazioni e l’art. 1102 relativo all’utilizzo da parte del singolo delle parti comuni: la lesione del decoro architettonico.
La Corte, infine, dedica una ultima (utile) annotazione ad un punto di contatto esistente fra le due norme citate del codice civile: che seppure riferite a fattispecie diverse, comporta che il principio espresso dall’art. 1120 relativo al divieto di innovazioni illecite (o perché ledono il decoro architettonico del fabbricato, o perché addirittura ne mettono a repentaglio la sua stessa stabilità) trovi applicazione anche nelle fattispecie inerenti all’articolo 1102.
In altre parole, è del tutto ovvio che non è che quello che non si può fare con le innovazioni (tipo per utilizzare un esempio assurdo deliberare di togliere tutti i muri maestri a rischio di far crollare il palazzo) possa essere consentito al singolo condomino che voglia trarre un migliore utilizzo della cosa comune.
Quale conclusione di questa premessa, la Corte di Cassazione ha pertanto concluso che i giudici di merito hanno errato nel non accertare se di fatto l’opera (famoso ampliamento della apertura sul muro condominiale) posta in essere dalla condomina fosse o meno opera tale da mettere a repentaglio la sicurezza del fabbricato o comunque da alterarne il decoro architettonico.
Da qui la decisione della Suprema Corte di rinviare la causa (ritenuta evidentemente e per i motivi detti non sufficientemente istruita) ad altro giudice, al quale viene espressamente dato mandato di attenersi al seguente principio di diritto: ogni condomino, nel caso in cui il cortile esclusivo o comune sia munito di recinzione confinante con area pubblica o altra area dello stesso condominio, può apportare a tale recinzione, se di proprietà condominiale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condòmini e, quindi, procedere anche all’apertura o all’ampliamento di un varco di accesso al cortile condominiale o alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non alteri la destinazione del muro e delle altre cose comuni, non comprometta il diritto al pari uso e non arrechi pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e decoro architettonico del fabbricato.