[A cura di: avv. Matteo Rezzonico, presidente Commissione legale Fna-Confappi]
Il decreto legge 12/9/2014, n. 132, convertito nella Legge 10 novembre 2014, numero 162 – recante “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” – ha introdotto importanti novità in tema di esecuzione per consegna o rilascio (sfratti). In particolare, l’art. 19 del richiamato D.L. 132/2014, ha sostituito il precedente art. 609 c.p.c. La precedente formulazione dell’articolo 609 c.p.c. creava non pochi problemi ai proprietari immobiliari, posto che, per i più disparati motivi, spesso i detentori di locali abbandonano al loro interno beni mobili (cucine, elettrodomestici, arredi vari o, in caso di locazioni cosiddette “commerciali”, macchinari etc.). In questi casi, i rimedi per i proprietari erano assai problematici, posto che – salvo incorrere in reati penali (appropriazione indebita o esercizio arbitrario delle proprie ragioni) o in illeciti civili – non potevano né appropriarsi dei beni, né asportarli avviandoli alle pubbliche discariche. L’unica facoltà consentita, per i proprietari, era quella di presentare istanza all’Ufficiale Giudiziario per disporne, a loro spese (salvo rivalsa), la custodia sul posto o il trasporto in altro luogo.
Tralasciando, in questa sede, la disamina dei provvedimenti giurisprudenziali più o meno “innovativi”, che sul punto si sono susseguiti nel tempo, è certo che l’eventuale liberazione dei locali dai beni dell’inquilino doveva ritenersi attività estranea al processo di esecuzione, in senso stretto.
È in tale contesto che si inserisce il novellato art. 609 c.p.c., il cui primo comma recita: “quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, l’ufficiale giudiziario intima alla parte tenuta al rilascio ovvero a colui al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine. Dell’intimazione si dà atto a verbale ovvero, se colui che è tenuto a provvedere all’asporto non è presente, mediante atto notificato a spese della parte istante. Quando entro il termine assegnato l’asporto non è stato eseguito, l’ufficiale giudiziario, su richiesta e a spese della parte istante, determina, anche a norma dell’articolo 518, primo comma, il presumibile valore di realizzo dei beni ed indica le prevedibili spese di custodia e di asporto”. Il richiamato art. 518 c.p.c. consente all’ufficiale giudiziario di determinare approssimativamente il valore di realizzo dei beni immobili pignorati.
Il successivo articolo 609, comma 2°, c.p.c. introduce due diverse ipotesi: 1) la prima, relativa al caso in cui il valore dei beni sia superiore alle spese di custodia e di asporto: in tal caso, l’ufficiale giudiziario, a spese dell’istante, nomina un custode e lo incarica di asportare i beni in altro luogo; 2) la seconda: “…ove non appaia evidente l’utilità del tentativo di vendita …” i beni sono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione.
L’art. 609, comma 4° c.p.c., precisa poi molto opportunamente: “decorso il termine fissato nell’intimazione di cui al primo comma, colui al quale i beni appartengono può, prima della vendita ovvero dello smaltimento o distruzione dei beni a norma del secondo comma, ultimo periodo, chiederne la consegna al giudice dell’esecuzione per il rilascio. Il giudice provvede con decreto e, quando accoglie l’istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e compensi per la custodia e per l’asporto”.
Ulteriormente, l’art. 609, comma 5°, c.p.c. dispone “l’ufficiale giudiziario provvede secondo le norme sul pignoramento dei beni mobili, a disporre la vendita senza incanto dei suddetti beni”. La somma ricavata dalla vendita è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l’asporto e per la vendita, liquidate dal giudice dell’esecuzione per rilascio. L’eventuale eccedenza è utilizzata per il pagamento delle spese di esecuzione liquidate a norma dell’art. 611 c.p.c.
Per l’art. 609, 6° comma c.p.c., in caso di infruttuosità della vendita, cioè di mancato ricavo di somme utili, i beni vengono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario ne dispone lo smaltimento o la distruzione.
Il settimo comma dell’art. 609 c.p.c. non costituisce invece una novità in quanto il relativo precetto era già contenuto nell’art. 609, comma secondo (precedente formulazione).
Del tutto peculiare è comunque il precetto contenuto nell’art. 609, comma 3°, c.p.c., che disciplina la fattispecie dei beni lasciati all’interno dei locali, inerenti attività imprenditoriali e professionali. Per l’articolo 609, comma 3, c.p.c.: “se sono rivenuti documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriali o professionale che non sono stati asportati a norma del primo comma, gli stessi sono conservati, per un periodo di due anni, dalla parte istante ovvero, su istanza e previa anticipazione delle spese da parte di quest’ultima, da un custode nominato dall’ufficiale giudiziario. In difetto di istanza e di pagamento anticipato delle spese si applica, in quanto compatibile, quanto previsto dal secondo comma, ultimo periodo. Allo stesso modo si procede alla scadenza del termine biennale di cui al presente comma a cura della parte istante o del custode”. Non si comprende peraltro il motivo per il quale il Legislatore abbia ritenuto necessaria una norma ad hoc per lo svolgimento delle attività imprenditoriali o professionali. Ed infatti, sembra financo banale osservare che il trattenimento, in custodia di eventuali documenti nell’immobile per cui è causa o in altro luogo (si pensi esemplificativamente ad un grosso archivio), può costituire per il locatore un costo illegittimo e ingiustificato, che non sarà mai più recuperato.