Un condominio sostituisce la porta del garage e chiude un cavedio con una soletta. Gli altri condòmini si oppongono alle opere e chiedono che la situazione di partenza venga ripristinata. Chi ha ragione? Ecco come si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 15327 del 21 luglio 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 21.7.2015, n. 15327
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CONSIDERATO IN FATTO
Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2004 gli odierni controricorrenti, tutti quali condòmini dello stabile sito in Milano alla via …, convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Milano S.A., anch’essa condomina nel medesimo edificio.
Gli attori chiedevano la condanna della convenuta alla rimessione in pristino dello originario stato di uno spazio comune o cavedio in corrispondenza del primo piano chiuso con una soletta a copertura ad opera della convenuta, nonché della porta del box, sul cortile condominiale, della stessa S.A. sostituita con caratteristiche disomogenee rispetto alle altre porte esistenti.
Con sentenza in data 20/27 luglio 2006 l’adito Tribunale di prima istanza accoglieva la domanda di parti attrici sia con riferimento allo spazio comune o cavedio, che con riguardo alla porta del box, condannando la convenuta alla rimessione in pristino ed alla sostituzione della porta medesima.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello la S:A..
Resistevano al proposto gravame gli originari attori.
Con sentenza n. 2934/2009 l’adita Corte di Appello di Milano, in parziale accoglimento della proposta impugnazione, dichiarava “che la sostituzione dell’originaria porta box … non si poneva in contrasto con il decoro architettonico dello stabile”, respingendo in punto la domanda e dichiarando interamente compensate fra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Per la cassazione dell’anzidetta decisione della Corte distrettuale ricorre la S.A. con atto affidato a tre ordini di motivi.
Resistono con controricorso le parti intimate.
Ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la ricorrente S.A..
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 105 c.p.c., 1117 e 1123 c.c. con riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.”.
Il motivo in esame tende all’affermazione, da parte di questa Corte, del principio secondo cui “i presupposti per l’attribuzione della proprietà comune, quindi dell’interesse ad agire (dei condòmini), vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali sono necessari per l’esistenza e per l’uso, ovvero sono destinati all’uso e al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte o di alcune parti di esso” (Cass. n. 7885/1994 e , più di recente, Cass. 10 ottobre 2007, n. 21246).
Parte ricorrente, in sostanza, tende a prospettare, appigliandosi al predetto dictum della citata pronunzia di questa Corte, una carenza di interesse delle odierne parti contro ricorrenti.
L’assunto, tenuto conto dei reali connotati di fatto della fattispecie per cui è causa, è del tutto infondato.
Nell’ipotesi concreta per cui è giudizio si controverte quanto ad uno spazio comune ovvero ad un cavedio in corrispondenza del primo piano dell’edificio condominiale coperto con apposita soletta dall’odierna ricorrente.
È palese, una volta ricostruito l’oggetto del contendere, l’interesse – in genere – dei condòmini dello stabile al decoro del medesimo.
E tanto anche con riferimento a quei condòmini che la ricorrente postula come “non interessati” in quanto titolari di unità immobiliari non aventi affaccio sul cavedio oggetto di causa.
In ogni caso dalla questione di interesse ad agire, come innanzi ricostruita, non discende la caducabilità dell’impugnata sentenza
Il motivo in esame va quindi rigettato.
2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., 1102 c.c., con riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.” con riferimento taluni condòmini.
Il motivo in esame ripropone, parzialmente, la medesima doglianza di cui al motivo innanzi già esaminato.
In particolare la ricorrente deduce l’erroneità della gravata sentenza all’interesse ad agire con riferimento a taluni condòmini ed, in particolare, alla G.L..
Il motivo, anche per lo stesso ordine di ragioni di cui sub 1., è del tutto infondato.
La circostanza, invocata dalla ricorrente, di non aver tolto, con la soletta a copertura del succitato cavedio, “né aria, né luce alla G.L.” non fa venir meno l’interesse di tutti i condòmini al decoro dell’edificio in tutti suoi spazi comuni e, conseguentemente, non comporta – sotto il profilo della sollevata questione- una violazione e falsa applicazione, in ipotesi, delle norme in ordine alle quali si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge.
Il motivo deve, quindi, essere respinto.
3. Con il terzo motivo (erroneamente indicato come IV) parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 1110, 1102, 1120 e 1139 c.c., con riferimento al numero 3 dell’art. 360 c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta nei confronti di G.L.”.
Parte ricorrente lamenta l’errore in tema di disponibilità delle prove in ordine alla domanda riconvenzionale dalla stessa svolta, in via riconvenzionale, nei confronti di altra parte in causa per “sentir dichiarare ed accertare che G.L. si è appropriata di uno spazio comune che consentiva l’accesso alla base del cavedio”.
L’impugnata sentenza ha esaminato, pronunciandosi in proposito, la detta domanda subordinata.
In particolare è stato ritenuto ed espressamente affermato che “la G.L. non si è appropriata di una porzione comune” giacché apparteneva alla proprietà esclusiva di quest’ultima il cavedio, già chiuso, a piano terra dell’edificio.
La valutazione svolta nella gravata sentenza non risulta inficiata dalle deduzioni della odierna ricorrente e, in particolare, dall’addotta circostanza che “la G.L. è divenuta proprietaria dell’unità immobiliare de qua nel 1972” e, quindi, ben dopo la costituzione del condominio e la redazione del relativo Regolamento per atto Notaio B. del 1948.
Risulta, infatti, che la G.L. (allorché veniva contestata dalla ricorrente la sua qualità) ha fornito fin dal primo grado del giudizio con apposta produzione (doc. 15/19) la dimostrazione del proprio titolo di acquisto e di quelli ad esso precedenti di guisa da consentire di far risalire l’acquisto del medesimo immobile a data di certo antecedente alla costituzione del condominio.
Anche il motivo in esame del ricorso è, dunque, infondato e va rigettato.
4. In considerazione di quanto innanzi esposto e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in € 2.700, di cui € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.