Catasto: “quali linee guida per approdare ad una riforma davvero equa”
[A cura di: Achille Colombo Clerici – presidente Assoedilizia] Una riforma invocata da molti come via e strumento per realizzare la perequazione e l’equità fiscale, ma che per ora e per molto tempo genererà solo preoccupazione ed incertezza. Sono queste le condizioni ideali per creare quella fiducia che è indispensabile alla ripresa del settore? In Italia esiste un catasto che porta ad una serie di sperequazioni e squilibri. Innanzitutto, gli antichi accatastamenti (ad esempio quelli riguardanti immobili nei centri storici) conducono a valori inferiori a quelli derivanti dagli accatastamenti più recenti (quali quelli nelle periferie); gli storici parametri di determinazione delle rendite catastali, legati alla redditività funzionale dell’immobile, portano a valori che sono inferiori a quelli di mercato; dove i processi di rinnovamento edilizio ed urbano sono andati più a rilento, i valori catastali impositivi, ai fini delle diverse imposte, sono rimasti arretrati rispetto alle zone con maggior dinamismo socio-economico-edilizio urbanistico. La riforma del catasto è talmente di vasta portata da potersi considerare storica. Come tale va trattata: essa deve partire dall’accertamento di una verità alla quale i cittadini italiani hanno diritto, sapere cioè qual è la massa-imponibile complessiva.
Quello che è sbagliato è il modo in cui si è proceduto alla attuazione della riforma: l’aver lasciato cioè un automatismo, una contestualità tra la fase accertativa e la fase applicativa. Con il rischio, oltre tutto di una attuazione per tranches: dove gli uffici ed i comuni funzionano meglio la revisione parte prima ed i contribuenti, insomma, paghino e basta. La logica in cui ci si è mossi è stata: lasciamo produrre effetti fiscali immediati, poi vedremo, attraverso il controllo del gettito, se e quando e come introdurre a posteriori gli opportuni correttivi.
A parte il fatto che tale controllo è impossibile perché il parametro della invarianza del gettito, ancorché verificato a livello comunale, assunto a criterio guida della riforma, è impraticabile, in quanto ci sono quattro fattori variabili in grado di produrre una lievitazione continua del gettito: la nuova produzione edilizia, la riqualificazione continua dell’edificato, che produce un adeguamento in via automatica dei valori catastali, il recupero dell’evasione fiscale e l’incidenza delle esenzioni e delle agevolazioni fiscali deliberate dal comune. Occorre dire che al contribuente non interessa l’invarianza del gettito complessivo dell’imposta, bensì semmai quella del prelievo a suo carico.
Ad evitare il rischio di effetti gravemente distorsivi occorreva ed occorre invertire l’ordine delle fasi del procedimento; ciò anche ai fini dell’equità fiscale, della ragionevolezza costituzionale e della virtuosità economica.
In sostanza, il parallelismo tra raccolta dei dati ed entrata in vigore in modo automatico del prelievo fiscale non va bene. Prima si deve formare il quadro di tutti i dati – per conoscere preventivamente l’ammontare della base imponibile su cui si andrà a incidere – e poi si dovranno valutare le conseguenze che discenderebbero dalla applicazione del sistema vigente ai nuovi valori. Successivamente si introdurranno gli opportuni correttivi e si darà il via alla applicazione pratica della riforma.