Di quale maggioranza necessità l’installazione nel vanoscale condominiale di un ascensore finalizzato all’abbattimento di barriere
architettoniche? È il controverso punto sul quale si è espressa la Corte di
Cassazione con la sentenza 16486 del 5 agosto, di cui riportiamo uno stralcio.
CORTE
DI CASSAZIONE,
sez. II civ., sent. 05.08.2015,
n.
16486
S.G.
, quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, S.E., nonché
P.G., rispettivamente usufruttuario e proprietario di unità immobiliari
ricomprese nel condominio sito in (omissis) , proponevano impugnazione
innanzi al tribunale di Chiavari avverso la delibera assunta in data 23.10.1999
dall’assemblea condominiale.
Esponevano
che con il voto favorevole di tanti condòmini rappresentanti 608,33 millesimi e
con il loro dissenso l’assemblea aveva deciso “la costruzione di un ascensore
nel vano scale, mediante taglio e riduzione della larghezza della scala
condominiale”.
Esponevano
ulteriormente che “la costruzione dell’ascensore era un’innovazione delle parti
comuni che avrebbe potuto essere decisa con la maggioranza qualificata di 666,6
millesimi, prevista dall’art. 1136, 5 comma c.c., ed inoltre che la riduzione
della scala la rendeva inservibile o comunque ledeva il decoro architettonico”.
Chiedevano
pertanto che il tribunale invalidasse la delibera impugnata.
Costituitosi,
il condominio instava per il rigetto dell’esperita impugnazione. Deduceva che
“la normativa sull’eliminazione delle barriere architettoniche permetteva di
deliberare l’installazione”. Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n.
485/2002 il tribunale adito rigettava l’impugnazione e condannava in solido gli
attori a rimborsare a controparte le spese di lite e a farsi carico delle spese
di c.t.u..
Interponevano
appello gli originari attori. Resisteva
il condominio.
Disposto
ed espletato supplemento di c.t.u., con sentenza n. 366 del 16/24.3.2010, la
corte d’appello di Genova rigettava il gravame e condannava in solido gli
appellanti a rimborsare a controparte le spese del grado e a farsi carico delle
spese di c.t.u..
Esplicitava
la corte distrettuale che “l’installazione dell’ascensore, rientrando tra le
opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27, 1°
comma, della L. 118/1971 ed all’art. 1 primo comma del d.p.r. 384/1978,
costituisce innovazione (…) ai sensi dell’art. 2 legge 13/89”.
Esplicitava
altresì che “la delibera impugnata (…) risulta presa con la maggioranza (…)
prescritta dall’art. 2 della L. 13/89 di cui ai commi II e III dell’art. 1136
c.c.”; che “non può quindi configurarsi una violazione dell’art. 1120 c.c.,
poiché il detto art. 2 della L. 13/89 configura espressa deroga a tale norma,
prevedendo le dette maggioranze anziché quella prevista dal quinto comma
dell’art. 1136 c.c.”.
Esplicitava
ulteriormente che “dall’espletata c.t.u. è risultato che la larghezza della
scala che rimane a disposizione per il transito è pari a 0,72 m., e consente il
passaggio di una persona, non rendendo inutilizzabili le scale”; che “neppure è
risultato alcun pregiudizio per alterazione del decoro architettonico”; che
“l’art. 1120, 2° comma c.c. non prevede che debba derivare alcun vantaggio
compensativo per taluno dei condòmini, cui non giovi immediatamente e
direttamente l’innovazione”; che “la prescrizione di larghezza minima della
rampa di scale di m. 1,20 è applicabile nel caso di immobili di nuova
costruzione, oppure di ristrutturazione di immobili, e cioè in casi diversi
dalla fattispecie in esame”; che all’esito del supplemento di c.t.u. all’uopo
disposto si era verificata l’insussistenza di qualsivoglia ostacolo
all’eventuale passaggio di mezzi di soccorso.
Avverso
tale sentenza hanno proposto ricorso P.G. , S.G. ed S.E.; ne hanno chiesto
sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente
provvedimento in tema di spese di lite. Il
condominio di via (omissis) ha depositato controricorso; ha chiesto
dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore
delle spese del grado di legittimità.
I
ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Il
condominio di via (omissis), del pari ha depositato memoria ex art. 378
c.p.c..
Con
l’unico motivo i ricorrenti deducono “violazione dell’art. 1120, 2° comma c.c.
ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n 5 c.p.c.)
circa un punto decisivo della controversia”.
Adducono
che “nel caso di specie la larghezza minima della scala sarebbe di 72 cm.
(…), com’è pacifico”; che “è altrettanto pacifico (…) che una scala larga
cm. 72 permetterebbe il passaggio di una sola persona, senza colli di
dimensione anche minima”; che se è ragionevole supporre che “l’uso normale di
una scala condominiale implica che sia possibile la discesa e la salita
contemporanea di due persone, l’art. 1120, 2° comma c.c. non potrà che
ritenersi violato”.
Adducono,
al contempo, che “la scala del condominio deve sempre e comunque permettere il
contemporaneo deflusso delle persone e l’accesso dei soccorritori”; che “una
scala di tal fatta è inservibile all’uso o al godimento perché non permette il
normale accesso di condòmini o visitatori che vogliano contemporaneamente
entrare o uscire dalle abitazioni, ma anche per la sua pericolosità, visto il
disagio che ne deriverebbe in caso di evacuazione forzata”.
Il
ricorso non merita seguito.
Si
rappresenta che con l’esperita impugnazione i ricorrenti sollecitano,
sostanzialmente, questa Corte di legittimità a rivisitare il giudizio “di
fatto” espresso nel caso di specie dalla corte di merito. Specificamente il
giudizio formulato in relazione al limite – ex art. 1120, 2° co., c.c. – per
cui l’innovazione non ha da rendere la parte comune dell’edificio inservibile
all’uso ed al godimento anche di un sol condomino, limite che – tra gli altri –
circoscrive la possibilità di deroga che l’art. 2 della legge n. 13/1989
prefigura in rapporto alle maggioranze per le innovazioni imposte dal combinato
disposto degli artt. 1120, 1 co., e 1136, 5 co., c.c., nel senso cioè che
l’innovazione ex art. 2 cit. può essere deliberata con le maggioranze meno
gravose di cui ai co. 2 e 3 dell’art. 1136 c.c..
Propriamente
il motivo involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di
valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo
di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, 1 co., n. 5),
c.p.c..
In
tal guisa si risolve in una improponibile richiesta diretta all’ottenimento di
una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del
giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav.
7.6.2005, n. 11789), improponibile nei medesimi termini in cui questa Corte
ebbe a reputare la richiesta sottesa alla propria pronuncia n. 12847/2007 che
parte ricorrente cita a supporto della sua prospettazione (“la Corte di appello
ha espresso un giudizio di merito incensurabile”, si legge testualmente nel
corpo della motivazione della statuizione n. 12847/2008 di questa Corte).
In
ogni caso si rappresenta che l’iter motivazionale che sorregge il dictum
della corte distrettuale risulta in toto ineccepibile sul piano della
correttezza giuridica ed assolutamente esaustivo e congruo sul piano logico –
formale. In particolare si evidenzia che questa Corte di legittimità spiega
quanto segue.
Da
un canto, che, in tema di condominio negli edifici, nell’identificazione del
limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120, 2° co.,
c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice
disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al
concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della
res communis secondo la sua naturale fruibilità (cfr. Cass. 12.7.2011,
n. 15308).
Dall’altro,
che in sede di verifica, ex art. 1120, 2° co., c.c., circa l’attitudine
dell’opera di installazione di un ascensore a recar pregiudizio all’uso o
godimento delle parti comuni da parte dei singoli condòmini, è necessario
tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la
coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé
il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è
propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve
includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere
architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde
dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati
(cfr. Cass. 15.10.2012, n. 18334).
In
questo quadro devesi rimarcare che la corte genovese ha fatto luogo a talune
debite e concludenti puntualizzazioni. Per
un verso, ha dato atto che all’esito del supplemento di c.t.u. appositamente
disposto si è acclarato che “una sedia a rotelle, con accompagnatore, potrebbe
essere introdotta nell’ascensore; che una sedia a rotelle potrebbe anche essere
trasportata lungo le scale; che una lettiga – barella potrebbe essere
trasportata, senza danno per l’infermo, lungo le scale”.
Per
altro verso, ha dato atto che “dalle informazioni assunte dal c.t.u. è
risultato che nello stabile vivano: condòmini con disturbi alla deambulazione;
una signora avanti con gli anni che non può utilizzare il proprio appartamento
all’ultimo piano, non potendo fare le scale; un condomino infartuato con
protesi tutoria; una signora di anni 90 impossibilitata ad uscire per
l’impossibilità di usare le scale”.
Il
rigetto del ricorso giustifica la solidale condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità. La
liquidazione segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il
ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al condominio
controricorrente la somma di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi,
oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge