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TAR CAMPANIA,
sez. Salerno (sez. prima)
sentenza 04 giugno 2015
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Se l’assemblea condominiale non ha dato l’assenso alla trasformazione di finestre in balconi, richiesta da alcuni condòmini, il Comune deve rifiutarsi di autorizzare i lavori? E, qualora questi siano comunque eseguiti, deve intimare la demolizione delle opere. La risposta fornita dal Tar della Campania è negativa. Ecco uno stralcio della sentenza del 4 giugno 2015.
LA SENTENZA
Il Tar della Campania (sezione staccata di Salerno, sezione prima) ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di registro generale 2304 del 2013, proposto da:
C.B., G.G e M.D.L., contro il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, nei confronti di: M.G. e A.R.; e sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2014, proposto da: C.B., G.G e M.D.L., contro il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, nei confronti di: M.G. e A.R.
per l’annullamento:
– quanto al ricorso n. 2304 del 2013:
a) della nota del Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie del 12.11.2013 (solo di recente conosciuta), con cui è stata respinta la richiesta di irrogazione di idonee misure repressive relativamente alla abusiva trasformazione, operata da parte dei soggetti controinteressati sulla facciata dell’edificio condominiale, di alcune finestre in balconi, in corrispondenza delle rispettive unità immobiliari;
b-c) per quanto possa occorrere, delle precedenti note del Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie dell’11.10.2013 e del 30.8.2013 (solo di recente conosciute);
d) di ogni altro atto anteriore, connesso e conseguente;
e per la condanna del Comune intimato, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. ed al fine di apprestare adeguata tutela alla situazione soggettiva dedotta in giudizio, all’adozione del provvedimento irrogativo di misure sanzionatorie delle opere abusivamente realizzate dai controinteressati e, segnatamente, della demolizione delle opere medesime e della rimessione in pristino dello stato dei luoghi;
– quanto al ricorso n. 1126 del 2014:
a) della nota del Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie prot. P 48194 del 25.3.2014 (pervenuta il successivo 27.3.2014), con cui è stata denegata l’irrogazione di idonee misure repressive relativamente alla abusiva trasformazione, operata da parte dei soggetti controinteressati sulla facciata dell’edificio condominiale, di alcune finestre in balconi, in corrispondenza delle rispettive unità immobiliari;
e per la condanna del Comune intimato, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. ed a fine di apprestare adeguata tutela alla situazione soggettiva dedotta in giudizio, all’adozione del provvedimento irrogativo di misure sanzionatorie delle opere abusivamente realizzate dai controinteressati e, segnatamente, della demolizione delle opere medesime e della rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso n. 2304/2013, notificato in data 9 dicembre 2013 e ritualmente depositato il 19 dicembre successivo, C.B., G.G. e M.D.L., rappresentati e difesi come in atti, impugnano i provvedimenti di cui in epigrafe, invocandone l’annullamento.
Premettono che i controinteressati, condòmini del fabbricato sito in Salerno, alla via (omissis), la cui costruzione risale all’epoca fascista, chiedevano all’assemblea condominiale di consentire la trasformazione di quattro finestre (due per ciascuna unità immobiliare) in balconi in occasione dei lavori di manutenzione straordinaria alle facciate del palazzo. Nonostante il consesso assembleare si fosse espresso negativamente, alla seduta del 18.10.2011, tale trasformazione veniva lo stesso realizzata in virtù di due segnalazioni certificate di inizio attività in cui non veniva dato atto della esistenza di detta delibera condominiale di diniego. A seguito di tanto il condominio, per il tramite del proprio legale, chiedeva al Comune di riesaminare i predetti atti assentivi dell’intervento al fine di adottare le conseguenti iniziative sanzionatorie, ma l’Ente si rifiutava opponendo ora la mancanza agli atti delle pratiche edilizie del diniego condominiale all’istanza di autorizzazione agli interventi (nota dirigenziale del 30.8.2013), ora la natura non attizia delle SCIA – all’uopo richiamando l’A.P. n. 15/2011 – con conseguente impossibilità di adottare provvedimenti in autotutela (nota dirigenziale dell’11.10.2013). Da ultimo, con la nota dirigenziale del 12.11.2013, il Comune ha infine evidenziato che “ogni pretesa di terzi sull’area oggetto di intervento dovrà essere svolta nelle sedi giudiziarie competenti”.
Avverso tali atti, i ricorrenti sollevano le seguenti testuali censure:
– violazione del principio generale di cui all’art. 10, comma 1 lett. c), del D.P.R. n. 380/01 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità dei presupposti, illogicità, arbitrarietà e manifesta ingiustizia.
I ricorrenti deducono che l’atto di assenso condominiale costituirebbe un presupposto di legittimità del titolo edilizio, la cui mancanza comporta il dovere di disporre la demolizione delle opere realizzate, qualificabili come di ristrutturazione cosiddetta pesante stante l’incidenza delle stesse in termini di staticità e di superficie. Il Comune, pertanto, avrebbe dovuto verificare l’esistenza della delibera condominiale di assenso e comunque, rilevata la sua mancanza, avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 241/90 interdire i lavori ed ordinare la rimozione degli effetti dannosi degli stessi.
Concludono per l’annullamento, previa sospensiva, degli atti impugnati.
Si costituisce il Comune di Salerno al fine di evidenziare, resistendo, che il fabbricato non è sottoposto ad alcun vincolo, ed in particolare di natura storico architettonica.
Si costituiscono, altresì, i controinteressati G. e R. al fine di rassegnare al Collegio, anch’essi resistendo, che le opere realizzate rientrano nei limiti di cui all’art. 1102 del codice civile e pertanto non richiederebbero alcun assenso condominiale.
Con il successivo ricorso n. 1126/2014 notificato in data 21 maggio 2014 e ritualmente depositato il 30 maggio successivo, i sigg.ri C.B., G.G. e M.D.L., rappresentati e difesi come in atti, impugnano la nota del 25 marzo 2014, con la quale il Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie ha nuovamente negato l’irrogazione di idonee misure repressive relativamente all’intervento su descritto di trasformazione di finestre in balconi. Tale determinazione negativa è motivata richiamando le precedenti note, emesse in riferimento alla medesima vicenda e già impugnate con il ricorso n. 2304/2013, ed evidenziando la necessità della definizione del presente giudizio prima di adottare “eventuali ulteriori provvedimenti di propria competenza”. Avverso tale atto, i ricorrenti articolano le seguenti censure:
Violazione degli artt. 96 e 761 del R.U.E.C. – Violazione dell’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, illogicità, arbitrarietà e manifesta ingiustizia – Sviamento.
I ricorrenti lamentano che con la nota da ultimo impugnata il Comune darebbe riscontro ad una istanza fondata su argomentazioni del tutto diverse dalle precedenti, segnatamente connesse alla difformità delle opere realizzate, qualificabili in termini di ristrutturazione, rispetto alla vigente normativa urbanistica-edilizia.
Si costituisce il Comune di Salerno al fine di evidenziare, resistendo, che si tratterebbe non di ristrutturazione bensì di risanamento conservativo, in quanto tale consentito dal vigente strumento urbanistico.
Si costituiscono, altresì, i controinteressati G. e R. al fine di eccepire la tardività ed inammissibilità del gravame oltre che opporre l’infondatezza delle allegazioni di controparte.
Alla Camera di Consiglio del 9 gennaio 2014, la domanda di sospensiva è respinta.
Alla pubblica udienza del 4 giugno 2015, sulle conclusioni delle parti costituite, entrambi i ricorsi sono trattenuti in decisione.
1. Sussistono evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva che giustificano la trattazione congiunta dei gravami in esame.
2. Va preliminarmente rilevata la riconducibilità della controversia alla potestas iudicandi del giudice adito, avuto riguardo alla stessa dinamica della controversia innescata dall’esecuzione di interventi edilizi realizzato in virtù di Segnalazione certificata inizio attività e caratterizzata dall’adozione di atti amministrativi, avverso i quali parte ricorrente articola specifiche censure invocandone l’annullamento. Si osserva invero in giurisprudenza (T.A.R. Napoli, Campania, sez. II, 21 giugno 2013, n. 3195) che, con l’intervento correttivo al codice del processo amministrativo, attuato con il d.l. n. 195 del 2011, è stato ridefinito l’ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di S.c.i.a., con la precisazione che appartengono ad essa le controversie relative al silenzio ed ai “provvedimenti espressi” adottati dall’amministrazione su sollecitazione del terzo ai sensi del comma 6 ter dell’art. 19, l. n. 241 del 1990 (art. 133 comma 1 lett. a punto 3 c.p.a.). Dalla chiara formulazione delle prefatte disposizioni emerge inequivocabilmente che la tutela del terzo deve essere necessariamente mediata dalla presentazione di un’istanza dell’interessato all’amministrazione, diretta a sollecitare l’esercizio dei poteri dei quali quest’ultima è attributaria: tale istanza, infatti, costituisce il presupposto per esperire l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. nell’ipotesi di inerzia ovvero l’azione di annullamento, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia determinata con il provvedimento espresso, lesivo dei propri interessi. La suddetta disposizione normativa ha di fatto determinato il superamento, quanto meno parziale, delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011: detta ultima disciplina legislativa ha previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, a seguito del deposito di una D.i.a. (ora S.c.i.a.) ritenuta lesiva, debba comportare l’esperimento “in via esclusiva”, dell’azione in materia di silenzio e di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, d.l. 2 luglio 2010 n. 104, determinando il venir meno del dibattito giurisprudenziale e dottrinario diretto a rilevare se, a seguito del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, si produceva un atto tacito o, al contrario, se risultava in essere un titolo idoneo a legittimare l’esercizio di un’attività privata e determinando, nel concreto, il superamento delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria sopra citata e, ciò, per quanto attiene l’ammissibilità, rispettivamente, sia dell’azione di annullamento (nell’ipotesi in cui fosse spirato il termine per l’esercizio del potere inibitorio) sia, nel contempo dell’azione di accertamento nell’eventualità in cui il termine di cui sopra non sia ancora spirato. La vicenda in esame rientra quindi senz’altro nella sfera giurisdizionale del giudice adito, trovando riferimento in una specifica previsione normativa che pertiene all’esercizio dei poteri giurisdizionali del giudice amministrativo.
Deve tuttavia rilevarsi che il sindacato di questo giudice non può spingersi fino alla verifica circa l’effettiva necessità dell’assenso condominiale alla luce delle caratteristiche dell’intervento realizzato. Sotto tal profilo, invero, è in gioco la violazione delle norme dettate dal Codice Civile circa l’uso delle parti comuni e pertanto si tratta di censure che investono la violazione di diritti soggettivi e pertanto interessano profili – tutela delle parti comuni – che riguardano il diritto di proprietà del condominio e dei singoli proprietari sulle aree comuni. Il sindacato di questo Giudice non può non arrestarsi cioè innanzi a questioni che riflettono conflitti interprivati, che, in quanto tali, non possono che essere affidati alla cognizione del giudice ordinario (v., di recente, T.A.R. Venezia, Veneto, sez. II, 14 febbraio 2014, n. 199).
3. Il ricorso n. 2304/2013 è infondato.
3.1. La questione agitata con tale gravame consiste nella rilevanza dell’autorizzazione condominiale ai fini della legittimità della S.c.i.a. consolidatasi attraverso l’iniziativa dei controinteressati. La risposta al quesito non può che essere negativa. Si afferma, infatti, in giurisprudenza, che “deve assolutamente censurarsi quella prassi amministrativa che subordina il rilascio di titoli edilizi abilitativi al consenso dei titolari di diritti reali confinanti ovvero di diritti reali di comunione – tra cui il condominio – e finanche di diritti personali di godimento; invero, i rapporti tra l’istante e i vicini, siano essi titolari di diritti reali individuali ovvero in comunione, hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l’amministrazione locale anche perché vi è comunque la clausola di salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi prevista dall’art. 11 comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; è pertanto illegittimo il provvedimento con cui si rifiuta l’adozione di un atto amministrativo abilitativo – sia esso costituito da una concessione edilizia ovvero da una D.i.a. – in assenza di un atto di consenso di natura privatistica ed attinente ai rapporti di diritto privato tra le parti, non previsto e non richiesto dalla legge” (cfr. T.A.R. Latina, Lazio, sez. I, 09 dicembre 2010, n. 1949). Così pure si afferma che “Ove la realizzazione di opere in attuazione di una D.i.a. interessino anche il condominio, il mancato assenso di quest’ultimo, la cui porzione immobiliare inerisce, concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l’Amministrazione in sede di esame della denuncia medesima e, di conseguenza, risulta illegittima la sospensione della D.i.a. motivata dal mancato intervento di una autorizzazione condominiale in ordine ai lavori edilizi” (cfr. T.A.R. Venezia, Veneto, sez. II, 02 luglio 2007, n. 2139).
Anche il Supremo Consesso di G.A. si è espresso in tal senso, osservando quanto segue: “Come questo Consiglio ha già avuto modo di rilevare, è facoltà del singolo condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell’edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili funzionale e spaziale, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere a nome proprio l’autorizzazione o la concessione edilizia relativamente a tali opere (Cons. Stato, sez. Consiglio Stato , sez. V, 9 novembre 1998 , n. 1583). Va inoltre osservato che ove la realizzazione di opere in attuazione di una D.i.a. interessino anche il condominio, il mancato assenso di quest’ultimo, la cui porzione immobiliare inerisce, concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l’Amministrazione (T.A.R. Veneto, sez. II, 2 luglio 2007 , n. 2139)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 09 febbraio 2009, n. 717). Le osservazioni dell’autorevole Collegio, riferite ad una D.i.a. edilizia, non possono non riferirsi anche alla S.c.i.a., avuto riguardo alla sostanziale assimilazione tra i due moduli di liberalizzazione dell’attività privata (Consiglio di Stato, sez. VI, 04 luglio 2014, n. 3408). È quindi da escludere, per tali ragioni, che residui un potere di autotutela in capo all’Amministrazione, pur non interdetto dalla particolare natura dell’assenso edilizio, una volta venuta a conoscenza della mancanza dell’autorizzazione condominiale, a prescindere dalla verifica circa la sua effettiva necessità. Peraltro, come evidenziato dalla difesa comunale, il fabbricato in oggetto non risulta sottoposto ad alcuna disposizione vincolistica e nemmeno è collocato in zona omogenea A del vigente Piano Urbanistico Comunale, bensì in zona omogenea B.
Tanto è sufficiente per la reiezione del ricorso in esame.
4. Con il successivo ricorso n. 1126/2014 i ricorrenti impugnano la nota P 48194 del 25.3.2014 assumendo, nel quadro di un’unica censura, il predetto intervento di trasformazione di finestre in balconi, essendo di ristrutturazione edilizia, sarebbe soggetto a permesso di costruire invece che a s.c.i.a.. I ricorrenti prospettano, al riguardo, la violazione del Ruec e del PUC ed evidenziano che tale qualificazione sarebbe stata riconosciuta dallo stesso UTC, tanto da richiedere il pagamento del contributo di costruzione.
Orbene, il Collegio ritiene di accogliere l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dalla difesa dei controinteressati, in quanto la nota oggetto del ricorso in esame presenta le caratteristiche dell’atto meramente confermativo, in quanto l’Amministrazione non ha mostrato di aver effettuato una nuova istruttoria o una nuova ponderazione di interessi, essendosi limitata a richiamare le precedenti note, già impugnate con il ricorso n. 2304/2013. Si afferma in giurisprudenza, infatti, l’atto va qualificato come meramente confermativo “quando l’Amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione” (cfr. T.A.R. Parma, Emilia-Romagna, sez. I, 30 aprile 2015, n. 123). La nota del 25.3.2014 non è conclusivamente in grado di traslare il baricentro della controversia, imperniato sui precedenti “espressi” atti emessi dall’Ente civico in riscontro delle istanze di riesame avanzate dai ricorrenti.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per difetto di interesse a ricorrere.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sui ricorsi, previamente riuniti, n. 2304/2013 e n. 1126/2014, come in epigrafe proposti da Bruno Cesira ed altri, così decide:
– respinge il ricorso n. 2304/2013, come da motivazione;
– dichiara il ricorso n. 1126/2014 inammissibile per difetto di interesse a ricorrere.
Condanna parte ricorrente a rimborsare le spese di lite nel complessivo importo di 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA e CPA come per legge, di cui € 1.00,00 in favore del Comune di Salerno ed € 1.000,00 in favore dei controinteressati.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2015.