Non è condominiale la tubatura nel punto di collegamento fra la conduttura centrale e quella del singolo condomino. È quanto si deduce dalla sentenza n.15938, emessa dalla Corte di Cassazione e depositata il 28 luglio 2015. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato, inoltre, che le affermazioni circa il fatto che la rottura si fosse verificata all’esterno dell’appartamento dei convenuti e che la tubatura fosse di pertinenza condominiale era in contrasto con le risultanze della consulenza di ufficio, di cui era stata alterata la trascrizione letterale delle parole e rovesciato il significato dell’accertamento peritale.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., Sent. 28.7.2015,
n. 15938
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. A.M.G. conveniva avanti al Tribunale di Forlì A.L. e L.B. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti nel suo appartamento sito in lido Adriano, nel fabbricato condominiale denominato Condominio … per effetto dell’allagamento dei locali determinato da una perdita di acqua nell’appartamento di proprietà dei predetti.
Si costituivano i convenuti, deducendo che la perdita d’acqua era stata determinata dalla rottura di un tubo di proprietà condominiale.
Procedutosi alla chiamata in causa del Condominio …, con sentenza depositata in data 4 marzo 2004, il Tribunale di Forlì – ritenuto che la tubatura ove si era verificata la rottura era di proprietà condominiale respingeva la domanda proposta dalla A.M.G. nei confronti di L.B. e A.L. e condannava il Condominio … al risarcimento dei danni subiti dall’appartamento di questi ultimi.
Con sentenza dep. l’11 maggio 2009 la Corte di appello di Bologna rigettava l’impugnazione principale proposta dal Condominio … nonché quella incidentale dell’attrice.
I Giudici osservavano quanto segue:
– la rottura si era verificata “nella tubazione ad innesto con sviluppo a T posta nella colonna di salita verticale ed il collettore della caldaia”, posti all’esterno dell’appartamento ovvero in una parte di tubatura qualificata come di pertinenza del condominio e non dei singoli condomini;
– tale circostanza assumeva rilievo essendo necessario verificare, ai sensi dell’art. 1117 n. 3 cod. civ. se la rottura della tubazione si fosse verificata all’interno o all’esterno dell’appartamento, dovendo in quest’ultimo caso ritenersi la tubatura di proprietà condominiale;
– nella specie: la rottura della tubatura si era verificata all’esterno dell’appartamento nel punto di innesto fra la tubatura condominiale e quella diretta al singolo appartamento, in un punto di collegamento ancora collocato nella tubatura centrale e dunque di pertinenza del Condominio.
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A.M. G. sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso gli intimati, il Condominio proponendo ricorso incidentale.
La ricorrente principale e gli originari convenuti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 n.3 cod. civ. laddove aveva erroneamente ritenuto che fosse condominiale la tubatura nel punto di collegamento fra la conduttura centrale e quella del singolo condomino.
2. Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2009 cod. civ., 324 cod. proc. civ. deducendo che, in relazione alla presenza della rottura della tubatura all’interno dell’appartamento dei convenuti – accertata dal giudice di primo grado in contrasto con quanto ritenuto dalla sentenza di appello – si era formato il giudicato interno, preclusivo del riesame della questione.
3. Il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione decisivo della controversia: le affermazioni circa il fatto che la rottura si fosse verificata all’esterno dell’appartamento dei convenuti e che la tubatura fosse di pertinenza condominiale era in contrasto con le risultanze della consulenza di ufficio, di cui era stata alterata la trascrizione letterale delle parole e rovesciato il significato dell’accertamento peritale.
4. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.) denuncia l’omesso esame del motivo di appello con il quale si era invocata la responsabilità dei convenuti ex art. 2051 cod. proc. civ..
5. I motivi sono inammissibili.
Ai sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d. lgs. n. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1, 2, 3, 4 cod. proc. civ., e qualora il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 n.1 ,2 , 3 ,4 cod. proc. civ., secondo il citato art. 366 bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perché una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al decreto legislativo n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, aveva inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacché la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.
In effetti, la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione, che non è solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.
Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. Ne consegue che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile – come si è detto – di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (S.U.3519/2008).
Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1 ,2 ,3 ,4 cod. proc. civ., nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione. del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U.20603/07). In tal caso, l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che, incidendo nella erronea ricostruzione del fatto, sia stato determinante della decisione impugnata. Pertanto, non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato, non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si era, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.
Nella specie, i motivi non sono conformi alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.: i motivi sub 1, 2 e 4 – che denunciano violazioni di legge – non formulano il quesito di diritto, mentre il terzo – che è dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 – non contiene il momento di sintesi con la separata indicazione del fatto controverso e del vizio di motivazione
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Per effetto del declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, 1’incidentale proposto dal Condominio, essendo tardivo (richiesta di notifica del 23 luglio 2010 nei confronti della sentenza dep. 1’11 maggio 2009) va dichiarato inefficace ex art. 334, II, cod. proc. civ..
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente a favore di G.L., M.L. e L.B., mentre non vanno poste a carico pure del Condominio, posto che il controricorso è stato notificato (7 luglio 2010), ovvero prima della notificazione del ricorso incidentale e dunque la difesa dei controricorrenti, che non hanno proposto controricorso all’incidentale, non è stata determinata dalla costituzione e dalla impugnazione del Condominio
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace l’incidentale.
Condanna la ricorrente principale al pagamento in favore di G.L., M.L. e L.B. delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 2.700 di cui euro 200 per esborsi ed euro 2.500 per onorari di avvocato oltre spese forfettarie e accessori di legge.