Se la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente è una delle
priorità segnalate dall’Ance e da Confindustria per rilanciare il comparto
delle costruzioni, l’economia nazionale e, al contempo, per aiutare il Paese a
perseguire gli obiettivi europei fissati per il 2020, sulla stessa lunghezza
d’onda si collocano anche gli architetti, a giudizio dei quali occorre
“prendere definitivamente atto che la condizione del patrimonio abitativo è
pessima; che le periferie sono invivibili; che la prima spending review da fare
è quella energetica, e che la garanzia del nostro debito pubblico è il
risparmio degli italiani di cui la metà è costituita da immobili; che se
vogliamo salvaguardare questo patrimonio serve occuparsene e anche molto in
fretta. È questo il cambiamento di verso necessario per l’habitat delle città e
per l’edilizia e che passa inevitabilmente attraverso una forte innovazione
negli approcci alle politiche di questo settore”.
La posizione è stata formalizzata attraverso il documento “Proposte
per una politica di rigenerazione urbana e degli edifici” – realizzato
congiuntamente a Legambiente – che il Consiglio Nazionale degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha consegnato nei giorni scorsi al
Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio.
In tema di sostituzione edilizia, ossia la demolizione e ricostruzione
di edifici – la più innovativa tra le proposte presentate – il Documento
ricorda che “in Italia i brutti e malconci edifici delle periferie e dei
sobborghi non vengono rottamati perché con le norme attuali è impossibile
farlo: infatti, per demolire un edificio e ricostruirlo a parità di volume e
superficie utile, bisogna chiedere un permesso di demolizione e poi uno per
nuova costruzione”. Essendo la sostituzione classificata come nuova
costruzione, essa ricade nelle prescrizioni di densità dei piani urbanistici,
normalmente molto più bassi di quando l’edificio è stato costruito: se si
demolisce un edificio esistente – ricorda il Documento – la volumetria realizzabile
diminuisce del 30%. Si devono ripagare gli oneri di urbanizzazione anche se
essi sono stati già pagati in origine. Vi sono poi gli oneri di costruzione. È
evidente quindi – ricordano ancora architetti e ambientalisti – che nessun
condominio o operatore ha interesse a rottamare, preferendo operare con
ristrutturazioni o manutenzioni che non ottengono praticamente mai il risultato
di migliorare sensibilmente la qualità dell’habitat.
Per favorire la rottamazione di edifici che non garantiscono più la sicurezza
o qualità dell’abitare, che sono in classe energetica E, F o G o sono
inadeguati dal punto di vista sismico o del rischio idrogeologico o comunque a
“fine vita”, la proposta è che la demolizione e ricostruzione di un edificio a
fini residenziali, all’interno della medesima proprietà, di pari volumetria e
superficie utile, non venga considerata nuova costruzione ai sensi del DPR
380/2001 e quindi sia sottoposta a oneri solo sulla eventuale parte eccedente
la volumetria precedente, laddove realizzabile ai sensi delle norme
urbanistiche vigenti. L’intervento di sostituzione – sottolinea ancora il
Documento – sarà realizzabile solo laddove si realizzi un edificio di classe
energetica A e consumo di suolo pari o minore del precedente”.
“Una tale innovazione – sottolinea il presidente
degli architetti italiani, Leopoldo Freyrie – non solo ci metterebbe alla pari
con tutti gli altri Paesi occidentali, che prevedono normalmente la
sostituzione edilizia, ma rilancerebbe anche l’edilizia italiana con effetti importanti
sul Pil e sulla occupazione. Una politica di questo tipo attuata in Francia e
in Germania ha dimostrato, come confermato dai rapporti dell’ANRU francese e
della KFW tedesca – che ogni euro di incentivo investito dallo Stato ha
prodotto 3 euro di ritorno nelle casse pubbliche in termini di tasse e di
diminuzione di costi sociali”.