Un mediatore immobiliare mette in contatto il venditore e un
potenziale acquirente, il quale, tuttavia, formula una proposta di pagamento a
rate dell’alloggio; proposta che il proprietario non accetta. Il mediatore
reclama comunque il pagamento del proprio compenso. Chi ha ragione? È la
vicenda sulla quale si è pronunciata la Corte di cassazione, con l’ordinanza
12428 del 16 giugno 2015, di cui si riporta un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ. 2, ord. 16.6.2015,
n. 12428
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PREMESSO
– che G.E., titolare della “… Immobiliare”, citò D.L. innanzi al
Tribunale di Salerno per sentirla condannare a versare il compenso dovuto per
l’opera prestata per la intermediazione nella vendita di un appartamento della
medesima – pari alla percentuale di mediazione a carico del mandante – ed a
corrispondergli ulteriore e pari somma per lucro cessante – commisurato alla
percentuale di compenso che avrebbe potuto esigere, a vendita conclusa, dal
futuro acquirente – rappresentando che la convenuta si era rifiutata di
stipulare il contratto di vendita nonostante il terzo interessato alla vendita
avesse manifestato la sua disponibilità a corrispondere la somma richiesta,
lire 265 milioni;
– che la D.L. si costituì rilevando – per quello che ancora conserva
interesse in sede di legittimità – che la decisione di non aderire alla
proposta era derivata dal fatto che il terzo aveva a sua volta proposto una
rateizzazione del prezzo non contemplata nell’originaria offerta sottopostagli
dal mediatore;
– che l’adito Tribunale rigettò la domanda non avendo rinvenuto, al
momento della decisione, il fascicolo dell’attore;
– che G.E. impugnò tale decisione, depositando l’incarto mancante; la
D.L. chiese il rigetto del gravame; la Corte di Appello di Salerno accolse
l’impugnazione – condannando l’appellata al pagamento della sola parte di
mediazione a suo carico ritenendo, da un lato, che le parti avessero stipulato
una mediazione atipica – in ragione dell’inserimento nel contratto della
clausola h) con la quale si era previsto l’obbligo di corrispondere il compenso
per la mediazione anche se l’affare non si fosse concluso – e giudicando,
dall’altro, che il rifiuto alla stipula non sarebbe stato giustificato perché
l’unico elemento fatto inserire dalla cliente nella offerta da sottoporre ai
terzi sarebbe stata quella dell’ammontare del prezzo;
– che per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la D.L.,
notificando il gravame l’8 ottobre 2013 agli eredi del G.E. – deceduto il 2
dicembre 2012, dopo il deposito della sentenza di secondo grado, avvenuto il 29
giugno 2012 -, collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del
predetto, facendo valere un unico motivo di annullamento; ha resistito con
controricorso C.P.M., vedova del G.E.;
– che è stata notificata relazione ex art 380 bis c.p.c. del seguente
tenore:
“I – Parte ricorrente assume la violazione e la falsa applicazione
degli artt. 1325, 1326, 1754, 1755 e 1756 cod. civ. nonché un vizio di
ultrapetizione, deducendo che il contratto concluso con G.E. – mediante la
sottoscrizione di moduli prestampati – non avrebbe rivestito il contenuto
minimo per aversi una proposta vincolante, mancando ogni riferimento ai tempi
ed alle modalità di adempimento del futuro contraente: da ciò sarebbe derivato
che, modificata da parte del terzo la proposta, il rifiuto di accettare
l’integrazione del contenuto negoziale – per quanto riguardava i tempi del
versamento del prezzo – non avrebbe concretizzato alcun inadempimento da parte
di essa esponente, riferendosi ad un contratto radicalmente nullo.
II – Il motivo è inammissibile.
Dalla lettura della sentenza di appello emerge che: 1 – la nullità del
contratto di mediazione venne dedotta in primo grado sotto il profilo che G.E. non
avrebbe dimostrato di essere iscritto nell’albo previsto dalla legge 39/1989, e
non già per inadeguatezza del contenuto contrattuale a costituire un valido
vincolo per le parti; 2 – nella comparsa di risposta in appello l’appellata
avrebbe chiarito di non aver ritenuto la proposta del terzo conforme alle
proprie aspettative e per tal ragione di essersi rifiutata di proseguire nel
rapporto con l’aspirante acquirente.
II.a – Ne deriva che, in deroga al principio di specificità del
ricorso, inverato nel canone di autosufficienza dell’esposizione dei motivi,
parte ricorrente non ha indicato ove, nei pregressi gradi di giudizio di merito
– in contrasto con i riportati accenni contenuti nella sentenza di secondo
grado – avrebbe sollevato la questione della nullità del contratto di
mediazione nei termini esposti nel ricorso; ne consegue la sostanziale novità
della denunziata nullità e la inammissibilità della sua proposizione in questa
sede.
II.b – La censura sarebbe comunque infondata in quanto il contenuto minimo
del contratto è indicato nell’art. 1325 cod. civ., di cui, nell’accordo in
esame, si sono riscontrati tutti gli estremi: il fatto dunque che non vi fosse
una rispondenza tra i due moduli predisposti dal mediatore e sottoscritti
rispettivamente dal cliente e dal terzo, quanto alla rateizzazione del prezzo,
non incideva sulla validità del rapporto contrattuale tra il mediatore ed il
conferente l’incarico.
II.c – La denunziata violazione dell’art. 112 c.p.c. è rimasta priva
di qualunque sviluppo argomentativo”.
– che per la ricorrente è stata depositata memoria difensiva ed i
procuratori della medesima hanno discusso la causa in sede di adunanza
camerale.
RITENUTO
– che le considerazioni sopra esposte sono condivisibili né sono stati
forniti ulteriori spunti critici idonei a scalfire la tenuta logica della
relazione;
– che in particolare, non congruo è il richiamo al recente arresto
delle Sezioni Unite della Corte (sentenza n. 4628 del 2015) in merito alla
configurabilità di un preliminare di preliminare né alla più risalente
pronuncia della VI sezione ( n. 15856/2012) relativamente al contenuto minimo
che deve rivestire l’accordo negoziale per essere inquadrato come contratto,
atteso che nella fattispecie non andava indagata l’idoneità della proposta ad
essere accettata dal terzo (idoneità che comunque doveva essere scrutinata in
sé e non dipendeva dall’esistenza di una controproposta) quanto piuttosto se le
parti fossero state messe in contatto dal mediatore sulla base di un modulo
portante una compiuta offerta all’acquisto (che non escludeva la rateizzazione
del prezzo) e se, quindi, potesse dirsi maturato il diritto del mediatore al
compenso per l’opera prestata;
– che pertanto il ricorso va rigettato, con onere di spese – secondo
la quantificazione indicata in dispositivo – sulla parte soccombente;
– che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art 13 del d.P.R. 115 del 2002
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 1.700 di cui 200 per
esborsi; ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002.