Quello delle barriere architettoniche in condominio è un tema che investe diversi ambiti, da quello sociale a quello fiscale, finendo talvolta per sfociare perfino in drammatici casi di cronaca. Anche in quest’ottica, fin dalla prima ora ha fatto molto discutere l’articolo 27 della legge 220/2012, che, di fatto, ha modificato la normativa previgente (legge 13/89), incrementando le maggioranze assembleari per la delibera di interventi finalizzati ad abbattere tali barriere, e, nello specifico, portandole alla metà più uno sia dei partecipanti all’assemblea sia dei millesimi.
Ma, oltre alla questione delle maggioranze, che cosa prevede, nel complesso la legge sul superamento delle barriere architettoniche? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Paolo Ribero.
LA LEGGE 13/89
Con la legge n. 13 del 9 gennaio 1989 recante “Disposizioni per favorire il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati”, il legislatore ha affrontato, cercando di combatterlo e superarlo, il problema delle barriere architettoniche all’interno del condominio, ossia quelle opere che impediscono, rendono difficoltosa o limitano la possibilità di movimento e la fruizione di spazi e servizi da parte di persone portatrici di handicap.
La normativa, al fine di favorire l’installazione di opere volte a rimuovere tali barriere, aveva introdotto una deroga alla maggioranza prevista dal codice civile per le innovazioni o per le opere straordinarie, statuendo che tali lavori potessero essere approvati dall’assemblea condominiale, riunita in seconda convocazione, con la maggioranza ordinaria degli intervenuti che rappresentassero 1/3 dei millesimi del valore dell’edificio. Inoltre, tale maggioranza sarebbe stata sufficiente anche nel caso di installazione di ascensore quando nel condominio non siano residenti portatori di handicap, in quanto tale miglioria favorisce l’accessibilità allo stabile anche da parte di soggetti con disabilità esterni al condominio.
L’art. 2 della legge prevede anche il caso in cui non venga raggiunta la maggioranza oppure venga espresso un diniego alle opere o, ancora, il caso di inerzia da parte del condominio. La normativa, infatti, dispone che il condomino portatore di handicap possa richiedere, in forma scritta, l’installazione delle opere volte ad agevolare la mobilità. Se l’assemblea rifiuta di assumere o non assume la delibera entro tre mesi dalla richiesta scritta, il condomino può – a proprie spese – installare servoscala o strutture mobili e facilmente rimovibili, avendo altresì la facoltà di modificare l’ampiezza delle porte d’accesso. Tali opere possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, salvo però il rispetto delle distanze di cui agli articoli numero 873 e 907 del codice civile. A ciò si aggiunga che l’intervento può usufruire anche delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
Le limitazioni ai lavori di abbattimento delle barriere architettoniche sono rappresentatie dal rispetto della normativa tecnica in materia, delle norme antisismiche e di prevenzione incendi, nonché dal divieto di cui all’art. 1120, comma 2, del codice civile, ovvero il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso ed al godimento anche di un solo condomino.
Proprio sulla base di tale ultimo divieto, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12705 del 14/6/2005, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Agrigento che aveva ordinato ad un condomino, padre di due figli portatori di handicap, di demolire l’ascensore installato all’esterno dell’edificio al fine di rendere meno gravoso lo spostamento dei due figli. La Suprema Corte ha affermato che la menomazione nel godimento di una cosa materiale prevale sull’handicap fisico. Nel caso di specie, una barriera architettonica condominiale – ad esempio la mancanza dell’ascensore che rende più difficile la vita ad un disabile – resta tale se la sua eliminazione determina impossibilità di uso di un bene comune da parte anche di un solo condomino.
In conclusione si può ritenere che, pur essendo stati compiuti importanti passi per facilitare l’obiettivo di permettere l’accesso ai disabili a qualsiasi edificio eliminando qualsiasi ostacolo alla mobilità, vi sono ancora diverse “barriere” alla completa realizzazione dello stesso.