Sono già state molteplici (e contrastanti) le reazioni alla misura introdotta dall’Agenzia delle Entrate, in base alle quali, d’ora in poi, nelle visure catastali sarà presente anche l’indicazione dei metri quadri dell’immobile (utile, tra l’altro, ai fini Tari). E questo non tanto per la novità in sé, quanto piuttosto in ottica di prospettiva, in vista della temuta e al contempo sospirata riforma del catasto. Ecco come la pensa il professor Rocco Curto del Politecnico, tra i principali artefici del nuovo Sistema informativo territoriale, in fase di sperimentazione nella città della Mole.
IL PARERE DI CURTO
Per come sono state pensate, le rendite catastali e i valori catastali presentano due limiti importanti o fattori di distorsione. Il primo è rappresentato dall’utilizzo del vano catastale per la determinazione delle rendite che, quindi, lascia margini di aleatorietà in relazione alle superfici. Da questo punto di vista la novità introdotta dall’Agenzia delle Entrate di prendere in considerazione i metri quadrati rispetto ai vani nella determinazione della rendita è corretta e sostanzialmente in linea con gli studi effettuati dal Politecnico di Torino.
Il secondo fattore distorsivo consiste nel fatto che le zone censuarie non corrispondono alla segmentazione territoriale del mercato. Il Politecnico di Torino ha avviato una sperimentazione presentata a livello nazionale e attivata sul capoluogo piemontese, volta a misurare come i valori catastali cambiano mediante l’applicazione di due correttivi. Il primo, appunto, considera il metro quadrato catastale e non più il vano. Il secondo correttivo, cosiddetto della “Microzona”, riguarda la location dell’immobile e consente di superare la distorsione derivante dalla suddivisione della città in 4 zone censuarie, riducendo la differenza tra valore catastale e di mercato. Si tratta di una porzione del territorio comunale omogenea sul piano urbanistico che si configura, allo stesso tempo, come vero e proprio segmento del mercato immobiliare.
Non interpreto la posizione dell’Agenzia delle Entrate. Chiaramente è in linea, politicamente parlando, con l’abolizione della tassazione sulla prima casa, ma non risolve il problema dell’equità. Introdurre questi correttivi sarebbe più utile. Noi del Politecnico affrontiamo il problema con metodologie efficaci e di rapida applicazione, in grado di anticipare gli esiti della riforma del catasto. Dal mio punto di vista, il primo passo verso la riforma era già stato predisposto con il Dpr 138 del 1998. In generale però occorre ridiscutere e riattivare un processo di riforma catastale più semplificato e graduale, da applicare nell’arco di cinque anni. Non è possibile riformare in un colpo solo tutta la materia.
La tesi del Politecnico è che i correttivi siano in grado di introdurre fattori di maggiore equità fiscale. In particolare, è necessario superare la situazione attuale, di grave iniquità, caratterizzata dalla contraddizione palese prodotta da aliquote d’imposta eccessivamente elevate applicate a valori convenzionali molto più bassi dei valori reali o in casi particolari più elevati. È questa la conseguenza di un Catasto che, dal momento in cui è entrato in conservazione, non ha subito alcuna revisione nonostante i cambiamenti molto forti avvenuti nel sistema dei valori immobiliari e le modificazioni altrettanto rilevanti intervenute nel patrimonio edilizio.