Un difficile abitare. È già nel titolo la migliore sintesidell’indagine nazionale condotta da Caritas, Sicet e Cisl. Obiettivo:
fotografare a 360 gradi le problematiche inerenti la casa degli italiani. E il
quadra che ne è emerso, non dà adito a troppo ottimismo in ottica di
prospettiva. Di seguito, un focus sui principali risultati dello studio.
Gli intervistati
L’analisi dei principali dati anagrafici e di condizione sociale
evidenzia un campione composto soprattutto da italiani (67,9%), da donne
(56,3%), da persone giovani-adulte, di età compresa tra 30 e 49 anni (45,1%).
Prevalgono di gran lunga i coniugati (51,0%), anche se non è trascurabile la
quota di soggetti che vivono situazioni di rottura del legame coniugale: il
18,6% degli intervistati è separato o divorziato.
Convivenza
L’esame delle situazioni e dei modelli di convivenza è importante
sotto diversi punti di vista. Da un lato, tali notizie appaiono utili per
definire meglio il profilo sociale e demografico degli intervistati Dall’altro,
l’informazione sulla composizione del nucleo appare importante per comprendere meglio
le dimensioni socio-relazionali del disagio abitativo e prefigurare al tempo
stesso le possibili piste di lavoro e di intervento, tenendo conto di una serie
di aspetti aggiuntivi riguardanti i bisogni della famiglia e dei suoi
componenti.
In termini generali, le situazioni caratterizzate da vincoli
affettivi di coppia rappresentano la forma più diffusa di convivenza: nel
complesso, sommando tra di loro le “coppie con figli” e le “coppie sole” si
giunge infatti al 57,1% del totale. Seguono le persone sole (20,1%) e le
famiglie monogenitoriali (11,0%). Le situazioni che riflettono forme di
fragilità e precarietà, perlomeno rispetto agli standard “tradizionali” di
convivenza (“Con amici/conoscenti”, “Più famiglie”, “Istituto/comunità”,
“Presso datore di lavoro”), riguardano nel complesso l’11,4% del totale degli
intervistati. In altre parole, un intervistato su dieci vive una situazione di
anomalia alloggiativa, che lascia trasparire vissuti di transitorietà
residenziale e potenziale precarietà socio-relazionale.
Le famiglie o i nuclei conviventi molto numerosi sono piuttosto
rari, non superando la soglia del sette percento sul totale degli intervistati.
Il numero medio di conviventi è pari a 3,08 unità/per nucleo, all’interno di un
range che oscilla tra un minimo di una persona (20,1% degli intervistati) e un massimo pari a 13
componenti per nucleo abitativo (due sole situazioni).
Come era possibile prevedere, l’incidenza più elevata di famiglie
numerose è rintracciabile presso i nuclei di cittadinanza straniera: il 56,9%
degli stranieri che si è rivolto a Caritas/Sicet nel periodo indicato fa parte
di una famiglia con 3-5 persone (mentre tra gli italiani tale raggruppamento è
pari al 47,1%). Analogamente, le famiglie numerose, con più di 5 componenti, sono
pari all’11,1% nel caso dei nuclei di cittadinanza straniera, mentre le
famiglie numerose ci cittadinanza italiana sono meno frequenti (5,2% del
rispettivo totale).
Per quanto riguarda, invece, i tipi di situazione abitativa, quasi
il settanta percento degli intervistati risiede in una casa o appartamento in
affitto. Seguono le famiglie che vivono in casa di proprietà, la cui entità
riguarda il 13% del totale degli intervistati. Tale raggruppamento è equamente
diviso al suo interno tra coloro che hanno già estinto il pagamento del mutuo
(48,4%) e coloro che sono invece ancora alle prese con il pagamento del mutuo
(51,6%).
Le soluzioni abitative con caratteri di apparente provvisorietà,
che riguardano tutti coloro che vivono in stanze e posto letto, raggiungono nel
loro insieme una quota di presenza non trascurabile, pari all’8,5% di tutti gli
intervistati. Scendendo nel dettaglio, si rileva che le situazioni di
provvisorietà/transitorietà si distribuiscono in modo molto differente a
seconda della provenienza nazionale, e vedono una forte diffusione soprattutto
tra gli stranieri: su 100 intervistati di cittadinanza non italiana, il 16,9%
vive nelle situazioni provvisorie sopra indicate (quasi un intervistato su
cinque), mentre tra gli italiani le condizioni di provvisorietà raggiungono
valori di incidenza tre volte più bassi (5,3%).
Le condizioni di provvisorietà abitativa, rilevate attraverso
l’informazione sul tipo di soluzione alloggiativa, non sono completamente
assenti neanche nel caso di famiglie con figli conviventi. Tale condizione si
riferisce però quasi esclusivamente agli stranieri: su 100 coppie straniere con
figli, il 3,1% vive in stanze/posti letto in affitto, all’interno di case o
appartamenti abitati anche da altre persone o nuclei familiari, mentre tale
condizione di precarietà abitativa è quasi del tutto assente tra gli italiani
(0,4%).
Una serie di
ulteriori domande aveva lo scopo di sondare le modalità contrattuali e
amministrative del contratto di affitto, anche per evidenziare la diffusione
nel campione di una serie di comportamenti irregolari, che caratterizzano e
accompagnano con una certa frequenza il mercato delle locazioni. In primo
luogo, l’assenza di un regolare contratto riguarda l’11,1% del totale delle
persone che hanno dichiarato di vivere in affitto. Tuttavia, non sempre il
contratto viene registrato presso l’Agenzia delle Entrate o gli intermediari
abilitati a tale funzione (professionisti, associazioni di categoria, Caf,
ecc.), così come prescrive la legge. Secondo i dati rilevati, tale consuetudine
riguarda poco più del venti percento delle situazioni di affitto dichiarate
dagli intervistati.
Ma le situazioni di irregolarità non si limitano alla mancata
registrazione del contratto di affitto. Un altro tipo di inadempienza riguarda
la mancata emissione di una ricevuta di pagamento della rata di locazione, che
è invece necessaria, soprattutto nel caso in cui il pagamento avviene
attraverso passaggio di contanti. La mancata emissione della ricevuta riguarda
il 26,6% delle persone che vivono in affitto. Allo stesso modo, può accadere
che il contratto sia stato effettivamente registrato, ma indicando un importo
della rata inferiore a quello reale. In questi casi, la ricevuta viene emessa
ma l’importo della ricevuta non copre l’intero ammontare della rata di affitto
“reale”. Questo tipo di situazioni appare abbastanza diffuso e riguarda una
quota consistente di persone che vivono in affitto, pari al 32,6%.
Quali problemi
A livello generale, il 46,2% del totale degli intervistati ha
dichiarato almeno un problema legato al territorio di riferimento. Il problema
più frequentemente segnalato è quello della criminalità (45,2% delle persone,
pari al 21,7% dei problemi segnalati). Seguono i problemi relativi alla
mancanza o carenza di aree verdi, che coinvolge il 35,9% degli intervistati, e
la mancanza/carenza di collegamenti (28,8%).
Prendendo come riferimento i valori medi nazionali, sono le Isole
a conquistare la palma di territorio maggiormente segnato dal disagio sociale,
logistico e infrastrutturale: cinque dei sei indicatori utilizzati riscuotono
in tali aree livelli di diffusione superiori alla media nazionale. Nello
specifico, è la mancanza/carenza di aree verdi a rappresentare il problema
maggiormente segnalato (61,1% degli abitanti insulari contro il 35,9% della
popolazione italiana complessiva), seguito dalla mancanza/carenza di
collegamenti (46,0% nelle Isole, 28,8% in Italia). Nelle regioni del Nord
nessun problema appare di gravità superiore alla media nazionale, mentre in quelle
del Centro la “mancanza/carenza servizi” e gli “altri problemi” appaiono di
entità superiore alla media nazionale.
Scorporando i dati per provenienza nazionale, si apprende che gli
italiani hanno risposto in modo più rilevante rispetto agli stranieri: il 49,8%
degli italiani ha indicato almeno un problema nella zona di residenza, contro
il 38,4% degli stranieri. Tale strutturazione delle risposte può destare una
certa sorpresa, in quanto è noto che le abitazioni degli immigrati in Italia
sono mediamente collocate in aree marginali e dequalificate del territorio, e
per questo maggiormente accessibili a persone di bassa disponibilità
reddituale. Un aspetto di cui tenere conto a tale riguardo risiede nel diverso
approccio valutativo e di percezione del territorio che è possibile cogliere da
parte di italiani e stranieri: è infatti
probabile che a causa delle diverse storie personali e di vita che
caratterizzano i due universi, il livello di aspettative degli italiani
riguardo i servizi del territorio sia più elevato rispetto a quello degli
stranieri, dando luogo quindi a giudizi fondati su parametri di qualità non
perfettamente sovrapponibili.
Vi è anche un ulteriore aspetto di cui occorre tenere conto: per
molti stranieri la ricerca di un’abitazione rappresenta un vero e proprio
“percorso in salita” e gli ostacoli da superare sono tanti: diffidenza diffusa
dei proprietari, necessità di contratti di lavoro o di garanzie reali,
disponibilità di denaro per sostenere le spese di deposito/anticipo, ecc. Una volta
superati tali ostacoli, è probabile che la soluzione abitativa finalmente
trovata non risponda a tutte le esigenze di partenza. Ma su tali aspetti appare
giocoforza soprassedere, con un giudizio di valore che tralascia e pone in
secondo piano gli aspetti negativi, per sottolineare invece i vantaggi e gli
aspetti di soddisfazione legati al raggiungimento dell’obiettivo.
Le abitazioni
Una batteria di specifiche domande aveva lo scopo di evidenziare
l’incidenza di problemi relativi alla struttura dell’abitazione (dimensioni,
dotazioni, stato di conservazione, ecc.)
A livello generale, quasi la metà del campione vive in abitazioni
definite “strutturalmente danneggiate” (47,3%). Una quota di poco inferiore di
persone vive in case/alloggi ritenuti di “ridotte dimensioni” (43,5%). Si
tratta di un parametro diverso da quello dell’affollamento: nel primo caso
l’abitazione viene ritenuta oggettivamente piccola, a prescindere dalle
dimensioni del nucleo di persone conviventi, mentre nel secondo caso viene
effettuato un confronto tra il numero di persone e la metratura disponibile. Il
sovraffollamento misurato in tale modalità percettiva riguarda un numero
inferiore di soggetti, un intervistato su quattro, valore di poco superiore al
successivo problema segnalato, la “mancanza di luminosità dell’abitazione”
(20,4%). Considerando i dati in una prospettiva di confronto tra italiani e
stranieri, si osserva che il sovraffollamento riguarda un intervistato su
quattro e si presenta maggiormente diffuso tra gli stranieri (31,2%) rispetto
agli italiani (22,3%). Ma il gap su base nazionale appare ancora più evidente
nel caso dell’informazione sulle dimensioni dell’abitazione: la casa è ritenuta
troppo “piccola” dal 53,4% degli intervistati di nazionalità straniera, mentre
tale giudizio negativo proviene dal 38,9% degli italiani.
Le spese
Una volta ottenuto, il bene-casa ha necessità di essere conservato
e mantenuto. Alle spese relative al canone di affitto (o alla rata di mutuo),
si aggiungono ulteriori spese legate al mantenimento e alla pulizia
dell’immobile, alla gestione dell’amministrazione condominiale, alle tasse e
imposte di carattere locale/comunale, al pagamento delle utenze, ecc.
A tale riguardo,
soprattutto in tempo di crisi economica, molte famiglie si trovano in crescente
difficoltà nel sostenere tale volume di spese e tendono a rinviare il pagamento
di questa categoria di oneri ed incombenze economiche. Questo tipo di
comportamento appare molto diffuso tra gli strati sociali più deboli della
popolazione, come è il caso degli utenti della Caritas: ad esempio, nel
Rapporto sulla povertà di Caritas Italiana del 2014 si evidenziava in modo
chiaro una situazione di sofferenza di molti utenti Caritas riguardo il
sostenimento delle spese legate all’abitazione: “La quota di utenti in regola
con il pagamento delle spese abitative si riduce progressivamente: in caso di
affanno economico, le spese relative ai costi accessori dell’alloggio sono
infatti tra le prime ad essere rinviate. Si riscontrano a tale riguardo problemi
con le banche per il pagamento dei mutui, difficoltà nel pagare gli affitti,
numerosi casi di rischio sfratti e difficoltà con gli enti gestori delle
utenze. Gli operatori Caritas si fanno spesso portavoce di queste
problematiche, chiedendo direttamente agli enti la rateizzazione delle spese.
Numerosi sono stati gli aiuti economici, da parte delle Caritas, per far sì che
intere famiglie non si trovassero in strada o senza luce, acqua e gas. Il
mancato pagamento dei canoni di affitto ha incrementato i casi di sfratto per
morosità, a volte non pienamente giustificati dalla situazione di difficoltà
economica della famiglia, e che hanno portato nel tempo a dei veri e propri
“blocchi di mercato”, nel settore della locazione immobiliare”.
Il condominio
È molto probabile che nel tempo la dilazione delle spese
condominiali determini un peggioramento della qualità infrastrutturale delle
abitazioni, contribuendo a creare situazioni di rischio e di incolumità per i
residenti e per il territorio in senso più esteso e, sul piano commerciale, un
decadimento del valore economico dello stock immobiliare di talune aree del
nostro paese.
Venendo ai dati sul tema raccolti nel corso dell’indagine
Sicet-Caritas, la metà delle persone che si rivolgono ai due enti dichiara di
incontrare grandi difficoltà nel pagare l’affitto, la rata di mutuo o le spese
condominiali di gestione/mantenimento dell’abitazione. Nel caso degli utenti
Caritas, tale quota giunge a coprire il 68,7% di tale universo.
Andando
in profondità nelle situazioni indagate, si apprende che questo tipo di
problemi non è di recente origine, ma in media colpisce i protagonisti da circa
2,6 anni, con quote di sofferenza pluriennali piuttosto elevate: il 9,6% degli
intervistati ha dichiarato di avere da più di 5 anni questo tipo di difficoltà.
Le sofferenze economiche nel sostenere le spese legate al mantenimento
dell’abitazione sono più frequenti tra gli stranieri (60,2%) rispetto a quanto
rilevato tra gli italiani (47,4%).
Disaggregando i dati su base macroregionale, e contrariamente alle
aspettative, gli utenti del Mezzogiorno appaiono di poco più colpiti dal
fenomeno rispetto a quanto accade nel Nord Italia (55,4 contro il 51,3%). La
spiegazione di tale sottostima è probabilmente legata all’alta percentuale di
contratti non scritti e non registrati presso tale aree territoriali, che hanno
influenzato tra i nostri intervistati un forte numero di mancate risposte
sull’entità della rata di affitto, e l’impossibilità di calcolare per tutti gli
intervistati del Sud il valore dell’indicatore di sofferenza economica.
Gli sfratti
Non considerando i fenomeni di esclusione abitativa, la più
drammatica situazione di disagio alloggiativo è senza dubbio costituita dalla
perdita dell’abitazione, a causa della presenza di provvedimenti di sfratto o
di pignoramento giudiziario dell’abitazione. Come è noto, le due situazioni
riflettono contesti giudico-normativi differenti:
* sfratto: è un atto giudiziario con il quale, nell’ambito di un rapporto
di locazione, il locatore (ovvero, in generale, il proprietario dell’immobile)
richiede al Giudice di emettere un provvedimento esecutivo che ordini
all’inquilino di riconsegnargli l’immobile;
* pignoramento giudiziario: una banca o una società finanziaria possono presentare la
richiesta di pignoramento (espropriazione forzata) di un bene immobile
allorquando il pagamento di una rata di un mutuo o altra forma di finanziamento
(o dell’importo totale, se è una singola quota) non è stato saldato, è stato
saldato solo in parte e/o il pagamento è avvenuto oltre la scadenza prevista.
Lo sfratto avviene quindi nell’ambito di un rapporto di locazione
del bene immobiliare, mentre il pignoramento riguarda coloro che sono alle
prese con il pagamento di un mutuo immobiliare. A livello generale, il 16,0% del
campione vive un problema di sfratto o di pignoramento giudiziario. Incrociando
tale informazione con le principali variabili socio-anagrafiche e prendendo in
considerazione i soli valori modali della distribuzione statistica (ossia
quelli dove si registra il più elevato numero di casi), è possibile ricostruire
una sorta di identikit sociale delle persone che vivono tali forme di emergenza
abitativa (nell’universo dei servizi Sicet e Caritas). Si tratta in prevalenza
di italiani, abitanti nelle regioni del Mezzogiorno, di età compresa tra 50 e
64 anni, disoccupati, che vivono in famiglie non eccessivamente numerose
(massimo 5 componenti), con figli minori e un basso livello di reddito.
Dal punto di vista della qualità delle abitazioni, spicca la forte
incidenza di persone sotto sfratto (o soggette a provvedimenti di pignoramento
giudiziario dell’immobile), che vivono in edifici con gravi deficit
strutturali. Più della metà degli sfrattati/pignorati
vive in alloggi con “strutture danneggiate” (il
58,8%). Il 45,4% risiede in abitazioni considerate di “ridotte dimensioni” e il
32,0% vive in condizioni di sovraffollamento. Più rare, anche se non del tutto
assenti, le situazioni di totale assenza di dotazioni igieniche, che riguardano
comunque una persona su dieci (9,3%).
I servizi
A fronte di varie problematiche abitative, di diversa natura e
livello di gravità, sono disponibili varie forme di intervento, fornite dalle
amministrazioni pubbliche a livello centrale e territoriale. Di fatto, tali
risposte non sono in grado di arginare completamente l’onda d’urto
dell’emergenza abitativa in Italia e presentano varie e vistose carenze, sotto
diversi punti di vista. Le carenze di tali politiche oscillano su un continuum
che vede da un lato la totale assenza di risposta e dall’altro un certo livello
di deficit/carenza nelle misure attualmente disponibili.
Sta di fatto che, interpellati a proposito, solamente il 24,8%
degli utenti dichiara di fruire di una delle misure socio-assistenziali
attualmente a disponibili a livello nazionale e/o locale. In tutti gli altri
casi giocano a sfavore vari fattori, tra cui l’assenza di tali risorse o la
presenza di barriere che in qualche modo impediscono di accedere ai servizi
(scarse informazioni, difficoltà dell’iter burocratico, rigidità nei criteri di
accesso, ecc.). Nello specifico, il 36,5% dell’intero campione ha dichiarato di
aver avuto problemi e difficoltà nella fruizione di determinati benefici
pubblici. Si tratta soprattutto di italiani (66,3%), residenti nel Nord Italia
(50,7%).