La
singolare vicenda relativa alla fruizione di un vano portone condominiale oltre
che dell’alloggio comperato dagli acquirenti. Ecco come si è pronunciata la
Corte di Cassazione, con la sentenza 23684 del 19 novembre scorso, di cui
riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 19.11.2015, n. 23684
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CONSIDERATO IN FATTO
S.A. e P.A., con atto di citazione del 1998,
convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce R.M.T..
Gli attori esponevano di aver acquistato dalla
convenuta, con atto per notaio P. del 21 luglio 1995, un appartamento sito in
Lecce alla via …, piano primo, con la comproprietà del vano portone di accesso
al detto stabile, per il complessivo prezzo di lire 340 milioni e che,
tuttavia, erano entrati in possesso del solo appartamento e non anche del vano
portone del quale B.T.R. (proprietaria di altro appartamento al piano terra
dello stabile stesso di via …) vantava il possesso esclusivo.
Gli attori chiedevano, quindi, la condanna della
convenuta R.M.T. a far conseguire ad essi attori il compossesso del vano
portone, nonché al risarcimento danni, nonché – in via gradata – la riduzione
del prezzo corrisposto e la conseguente condanna della convenuta al pagamento
della somma di lire 50 milioni, con risarcimento dei danni subiti per la minore
utilità della cosa compravenduta.
Costituitasi in giudizio la R.M.T. eccepiva la
propria carenza di legittimazione passiva deducendo che il mancato
conseguimento del compossesso era addebitabile alla B.T.R. (che esercitava, in
assenza di titolo abilitativo, un potere di fatto esclusivo sul vano portone),
sostenendo – altresì, nel merito – che essa aveva trasferito “il portone” e non
già “il vano portone”, quest’ultimo peraltro da essa stessa comunque
acquistato, con atto per notaio M. del 1990, da C.M.T. ed A., dalle quali
ultime intendeva comunque essere garantita.
Chiamate in causa le suddette C.M.T. ed A.
deducevano la loro totale estraneità alla causa, evidenziando di aver
acquistato e venduto, come da allegati atti, la proprietà esclusiva
dell’appartamento di via …, piano primo e la “comunione del vano portone”.
Con ordinanza del 30 settembre 1998 il G.I. p.t.
ordinava l’intervento in causa della B.T.R., la quale, costituitasi in
giudizio, sosteneva il suo diritto di proprietà esclusiva del detto vano
portone adducendo anche l’esito di un giudizio possessorio di cui alla sentenza
del Pretore di Lecce del 22 febbraio 1993, resa nella contumacia della R.M.T. e
chiedeva darsi atto di tale sua proprietà.
Con sentenza in data 8 marzo 2006 l’adito
Tribunale di prima istanza rigettava la domanda proposta dagli attori, che
condannava – in solido – al pagamento delle spese processuali in favore di
tutte le altre parti del giudizio.
A tale conclusione – va notato – il Giudice di
prime cure giungeva rifacendosi alla distinzione fra “portone di ingresso” e
“vano portone” prospettata dalla R.M.T..
Avverso la suddetta decisione, chiedendone la
riforma, interponevano appello gli originari attori.
Resistevano al gravame, di cui chiedevano il
rigetto, la B.T.R., la R.M.T. e le C.M.T. ed A., quest’ultime chiedendo altresì
incidentalmente la condanna alle spese in proprio favore e il risarcimento ex
art. 96 seg. c.p.c. anche della R.M.T e della B.T.R..
L’adita Corte di Appello di Lecce, con sentenza
n. 811/2010, accoglieva entrambi gli anzidetti proposti appelli e, in riforma
dell’impugnata sentenza di primo grado, dichiarava che lo S.A. e la P.A. erano
comproprietari – insieme alla B.T.R. – del vano portone in questione, meglio
descritto nell’atto P. del 1995, condannando la R.M.T. e la B.T.R. a consegnare
detto vano in favore dei predetti S.A. e P.A., nonché a pagare le spese di
entrambi i gradi del giudizio in favore di ambedue tali appellanti; condannava,
altresì, la R.M.T. al pagamento delle spese processuali sostenute dalle C.M.T.
ed A. in entrambi i gradi del giudizio.
Per la cassazione della suddetta decisione della
Corte distrettuale ricorre la R.M.T. con atto affidato a quattro ordini di
motivi.
Resiste con controricorso lo S.A..
Non hanno svolto attività difensiva le altre
parti intimate.
Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato
memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la parte ricorrente.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si censura il
vizio di “violazione dell’art. 1476 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3
c.p.c.”.
Colo motivo in esame parte ricorrente deduce,
nella sostanza, che il mancato pieno godimento del vano portone per cui è causa
non è dipeso da un inadempimento della parte venditrice nella consegna della
cosa, ma da una libera opinabile scelta degli acquirenti, probabilmente
intimoriti dai “vanti” e dalle “pretese della sig.ra B.T.R.”.
La prospettazione odierna della parte ricorrente
risulta invero del tutto nuova e, comunque, priva di pregio ed effetto
giuridico.
Peraltro la stessa parte ricorrente sembra
aderire (ma solo ora) all’accertamento svolto dalla stessa Corte territoriale
che ha ritenuto del tutto privi di consistenza i “vanti” e le infondate pretese
della suddetta B.T.R. cui fa oggi cenno la ricorrente.
Quest’ultima, tuttavia, risulta aver – nei
pregressi gradi di giudizio – discettato insistentemente sulla sua pretesa di
aver venduto solo “portone” e “non il vano portone”.
Pertanto è stata la ricorrente stessa, anche con
la detta prospettazione, a mancare del pieno riconoscimento del godimento del
detto vano in favore dei legittimi acquirenti.
Di conseguenza appare del tutto infondato il
motivo consistente nel tentativo di elidere la responsabilità, nella
fattispecie, della ricorrente attraverso il ricorso alla violazione normativa
incongruamente invocata col motivo qui in esame.
Quest’ultimo, in quanto infondato, va dunque
respinto.
2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce il
vizio di “violazione dell’art. 1476 e 1218 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3
c.p.c.”.
Parte ricorrente prospetta l’erroneità della
gravata decisione in punto di attribuzione di responsabilità in quanto, secondo
la prospettazione di cui al motivo stesso, non vi sarebbe responsabilità della
R.M.T. nella consegna materiale della cosa.
Il motivo, per ordine di ragioni in parte analogo
a quelle enunciate sub 1, è infondato.
Nessun violazione delle citate norme vi è stata
con la sentenza impugnata giacché andava definita con chiarezza la situazione
della proprietà controversa, situazione alla cui incertezza aveva (e non poco)
contribuito anche la ricorrente che (solo oggi) lamenta mancata considerazione
sua non responsabilità.
Il motivo va, pertanto, rigettato per
infondatezza.
3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta
“illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360, n.
5 c.p.c.”.
La censura si appunta su una presunta carenza
motivazionale relativa alla condanna a consegnare ciò che la ricorrente
asserisce di aver già consegnato fin dalla stipula dell’atto.
La sentenza impugnata è, in proposito, sostenuta
da adeguata e congrua motivazione immune da vizi logici censurabili in questa
sede.
Ad abundantiam può
solo rammentarsi che in precedenza la R.M.T deduceva aver dato solo “portone” e
“non il vano portone”, la cui situazione di giuridica appartenenza è stata
definitivamente accertata, fugando ogni altro pretesto, solo con la corretta
decisione oggi gravata.
Il motivo in esame risulta, dunque, del tutto
infondato e va rigettato.
4. Con il quarto motivo del ricorso si prospetta
il vizio di “violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.”.
Con il motivo si lamenta, in sostanza, l’aggravio
di spese a carico della sola R.M.T. anche a favore delle parti chiamate causa.
La decisione del Giudice del merito è, in punto,
giusta e corretta avendo la stessa R.M.T. dato adito alla chiamata in causa di
altre parti.
Il tutto, fra l’altro, anche in conseguenza del
fatto che, nella circostanza, la stessa R:M.T. aveva in pratica ceduto ai
“vanti”, poi contraddittoriamente richiamati col motivo di cui innanzi sub 1,
della B.T.R., quest’ultima di seguito evocata in causa solo per effetto di
chiamata ordinata dal Giudice.
Il motivo deve, perciò, essere rigettato.
5. Alla stregua di quanto innanzi esposto,
affermato e ritenuto il ricorso va rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e si
determinano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del
giudizio, determinate in euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese
generali ed accessori come per legge.