IL CONDOMINO SI SENTE OFFESO E MINACCIATO. MA HA RAGIONE L’AMMINISTRATORE
- Redazione
- 2 febbraio 2016
In una riunione di condominio, a seguito delle critiche rivolte all’amministratore, un condominio sarebbe stato offeso e perfino minacciato da quest’ultimo. La Cassazione, tuttavia, conferma le sentenze del giudice di pace e del giudice d’appello, assolvendo l’amministratore e rigettando il ricorso del condomino. Vediamo perché.
————————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen.,
sent. n. 2646/2016, ud. 8.10.2015
————————-
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice di pace di Viterbo del 19/06/2012, appellata dalla parte civile, con la quale A.F. era assolto dall’imputazione del reato di cui all’art. 594 cod. pen., contestato nell’aver rivolto al condomino M.L., nel corso di un’assemblea del condominio del quale il A.F. era amministratore, le espressioni «sei un’analfabeta con grado di cultura zero… hai preso la laurea con i prosciutti», ravvisandosi la causa di non punibilità della provocazione, e dall’imputazione del reato di cui all’art. 612 cod. pen., contestato come commesso nella stessa occasione rivolgendo al L. l’espressione «per me questa stanza è troppo grande, mi bastano due metri quadri per non farti uscire più», per insussistenza del fatto.
La parte civile ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale; sarebbe stata omessa la riassunzione delle prove testimoniali, dovuta laddove unico esito possibile dell’accoglimento dell’appello sarebbe stata la riforma della sentenza di primo grado in senso sfavorevole all’imputato, dandosi peraltro atto nella stessa sentenza impugnata di come l’istruttoria svolta dinanzi al Giudice di pace non avesse chiarito l’esatto tenore della frase contestata come minacciosa; il fatto ingiusto, posto alla base della ritenuta scriminante della provocazione per il reato di ingiuria, sarebbe stato illegittimamente ravvisato in una censura di scarsa professionalità rivolta dalla parte offesa all’imputato, costituente esercizio di un diritto di critica; la sussistenza della condotta minacciosa sarebbe stata esclusa con una valutazione in termini di mera plausibilità di taluni contributi testimoniali, peraltro non specificati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
È in primo luogo manifestamente infondata la censura di illegittimità della decisione impugnata in quanto assunta in mancanza della riassunzione delle deposizioni testimoniali acquisite in primo grado, non necessaria per la pronuncia di un giudizio che confermava quello, peraltro assolutorio, emesso in quel grado; nessuna rilevanza avendo l’eventuale diverso esito di condanna al quale mirava l’appello proposto dalla parte civile, nel momento in cui detto esito non si verificava e comunque, ove si fosse realizzato, avrebbe individuato in capo alla difesa dell’imputato, e non certo a quella della parte civile, l’interesse ad eccepire l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Le doglianze sulla ravvisabilità del diritto di critica nel comportamento del M.L., ritenuto scriminante della condotta di ingiuria in quanto provocatorio, sono generiche nella mera riaffermazione dell’esistenza di tale diritto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata nella quale il fatto ingiusto della persona offesa era dettagliatamente individuato nella reiterata accusa di scarsa chiarezza dei bilanci rivolta all’amministratore del condominio, nonostante l’esibizione da parte di quest’ultimo di documentazione a supporto dei rendiconti, e nell’affermazione di scarsa professionalità del A.F. in un contesto che tutti i testi descrivevano come connotato da particolare concitazione.
Altrettanto generiche sono le censure del ricorrente nell’asserita esclusione della prova della condotta minacciosa in base a testimonianze non precisate e valutate in termini di mera plausibilità; il Tribunale osservava invero analiticamente come la sussistenza di detta condotta fosse stata confermata dal teste A. ed invece negata dal teste C., e come i testi E.F. e F. avessero riportato le espressioni pronunciate dal A.F. nei termini dell’aver lo stesso asserito che «gli sarebbe bastato essere proprietario di due metri quadrati per intervenire liberamente», frase non chiara e slegata dal contesto della discussione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare equo determinare in euro 1.000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.