[A cura di: avv. Rosa Maria Ghirardini – vice segr. naz. Appc]
Provvedimento dalla tematica inedita quello del Tribunale di Roma del 27 novembre 2015, relativo alla trascrivibilità degli accordi amichevoli raggiunti all’esito del procedimento di mediazione civile e commerciale, previsto e disciplinato dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Il provvedimento del collegio capitolino muove dal reclamo proposto da un notaio avverso la decisione del conservatore del competente registro immobiliare di trascrivere, ma soltanto con riserva ex art. 2674-bis c.c., un atto di divisione immobiliare stipulato dai contraenti in sede di mediazione con sottoscrizioni autenticate da un pubblico ufficiale.
Le perplessità del conservatore erano legate alla circostanza che la figura dell’accordo amichevole non comparirebbe, quantomeno esplicitamente, nel novero degli atti negoziali suscettibili di trascrizione ai sensi dell’art. 2643 c.c., tra cui non rientra la divisione di immobili e non potendo l’atto in questione essere definito come transazione, viceversa contemplato dal successivo art. 2646 c.c..
Il tribunale di Roma, nell’aderire alla ricostruzione giuridica operata dal notaio, muove innanzitutto dalla portata letterale dell’art. 11, comma 3, D. Lgs. n. 28 del 2010, secondo cui “se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Evidenzia che le ragioni della trascrivibilità dell’accordo vanno rinvenute nel testo del D. Lgs. 28 del 2010 e non nelle disposizioni codicistiche in materia di trascrizione, con prevalenza – per il principio di specialità – del primo sulle seconde, e che contradditorie con la previsione dell’obbligatorietà della mediazione per alcune materie (tra le quali proprio le divisioni immobiliari) sarebbero la non trascrivibilità dell’accordo e la sua impossibilità di spiegare gli effetti tipicamente connessi alla pubblicità immobiliare.
Ecco quindi che la conclusione cui pervengono i giudici capitolini è quella della trascrivibilità di tutti gli accordi amichevoli contenenti atti o negozi giuridici suscettibili di trascrizione ai sensi del codice civile, ma solo se muniti di sottoscrizione autenticata da pubblico ufficiale.
Il richiamo dell’art. 11 del D. lgs. 28/2010 all’art. 2643 c.c. va inteso come riferito agli atti soggetti a trascrizione “laddove la particolare menzione fatta dalla legge agli atti e contratti elencati dall’art. 2643 c.c. sembra esprimere il diverso intendimento di sottolineare che l’accordo di mediazione non è un tipo contrattuale a se stante, ma solo l’involucro esterno, l’occasione in cui viene concluso il contratto il quale conserva perciò le tipologia che gli è propria e non si trasforma, solo perché stipulato in sede di mediazione, in qualcos’altro, con la sola particolarità che, ai fini della sua trascrizione, è espressamente richiesta l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un notaio, ai fini della verifica delle conformità del contenuto dell’atto alle prescrizioni di legge”.
Difficile, comunque, intaccare la lobby dei notai, che trova ampia protezione presso i nostri politici. Le commissioni Finanza e Attività Produttive della Camera, come è noto, hanno approvato emendamenti soppressivi dell’articolo 28 del ddl concorrenza, che dava agli avvocati la possibilità di autenticare gli atti di compravendita di immobili adibiti ad uso non abitativo (quindi non residenziali, ma ad esempio box e negozi) dal valore inferiore ai 100mila euro, rendendo a ciò ancora indispensabili i notai. Sorprendente è pure la posizione dell’Antitrust, che si è spinta sino al punto di auspicare la eliminazione del divieto di pubblicità comparativa e suggestiva tra avvocati, ma non ha speso una parola – occupandosi dei notai – per stigmatizzare la decisione del Parlamento di emendare l’originario disegno di legge nella parte in cui prevedeva, come anzidetto, l’attribuzione agli avvocati di alcune limitate competenze in materia di trasferimenti di immobili: dunque, per l’Antitrust la pubblicità selvaggia di un servizio professionale favorisce la concorrenza mentre la apertura del mercato delle compravendite immobiliari ad altri professionisti, che peraltro già se ne occupano quando assumono l’incarico di curatore o di delegato alle vendite giudiziarie, non è benefica.
Insomma, la concorrenza sarà pure un valore nel quale bisogna credere incondizionatamente, ma non per tutte le categorie professionali.