STOP AGLI SCAVI: ANCHE IL SOTTOSUOLO RIENTRA NELLE PARTI COMUNI CONDOMINIALI
Nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell’edificio, privandoli dell’uso e del godimento ad essa pertinenti. È quanto sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 6154 del 30 marzo 2016, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.3.2016,
n. 6154
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato il 5 giugno 2006, il Condominio di via …, Milano, esponeva che la società R.G. & C. s.a.s. e la L. s.p.a., nelle rispettive qualità di utilizzatrice in forza di contratto di locazione finanziaria e di proprietaria di una porzione immobiliare sita al piano terreno dell’edificio condominiale, avevano intrapreso opere di scavo nel sottosuolo senza alcuna autorizzazione del Condominio. Veniva richiesta pertanto la sospensione delle opere e la reintegrazione del Condominio nel possesso del bene comune mediante il ripristino dello stato anteriore, oltre al risarcimento del danno.
(omissis)
Avverso la sentenza n. 1179/2011 della Corte d’Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione in due motivi la R.G. & C. s.a.s., con riguardo al quale si difende con controricorso il Condominio di via …, Milano, mentre Unicredit Leasing s.p.a. (già L. s.p.a.) propone ricorso incidentale in unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
Col secondo motivo del ricorso principale si censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 c.c. e 703 c.p.c., in quanto mancavano, nel caso di specie, i presupposti della tutela possessoria, quali l’animus spoliandi e la clandestinità, giacché la stessa società R.G. & C. sapeva che i restanti condòmini ritenevano il capannone un bene a sé stante, escluso dalla situazione condominiale.
(omissis)
È invece infondato il secondo motivo di ricorso principale, quanto alla carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di reintegrazione. Dall’esame del regolamento di condominio e dalla destinazione funzionale del terreno in oggetto, posto in rapporto di strumentalità col fabbricato principale, la Corte di Milano ha ricavato, “ad colorandam possessionem”, l’inclusione dello stesso fra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c., così accertando che le denunciate utilizzazioni da parte della società R.G. & c. eccedessero i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei condòmini compossessori.
In base all’art. 1117 c.c., infatti, l’estensione della proprietà condominiale ad un immobile, quale quello oggetto di lite, che appare come corpo di fabbrica separato rispetto all’edificio in cui ha sede il condominio, può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso (avendo la Corte di merito inteso come tale il regolamento di condominio richiamato nell’atto di acquisto dei danti causa di L. s.p.a.), qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente (articoli 1 e 2 del citato Regolamento). D’altro canto, la norma regolamentare che ricomprende nella proprietà comune “il terreno sul quale sorgono gli edifici” appare mera riproduzione della regola attributiva dell’art. 1117 c.c., la quale abbraccia pure “il suolo su cui sorge l’edificio”. Oggetto di proprietà comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., è non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero fabbricato e dunque immediatamente pure la parte sottostante di esso. Il termine “suolo”, adoperato dall’art. 1117 citato, assume, invero, un significato diverso e più ampio di quello supposto dall’art. 840 c.c., dove esso indica soltanto la superficie esposta all’aria. Piuttosto, l’art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l’art. 840 dello stesso codice, implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio (seppure non menzionato espressamente dall’elencazione esemplificativa fatta dalla prima di tali disposizioni), va considerato di proprietà condominiale in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condòmini. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell’edificio, privandoli dell’uso e del godimento ad essa pertinenti. La condotta del condomino che, senza il consenso degli altri partecipanti, proceda a scavi in profondità del sottosuolo, acquisendone la proprietà, finirebbe, in pratica, con l’attrarre la cosa comune nell’ambito della disponibilità esclusiva di quello. Sicché, avendosi nella specie riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un fabbricato compreso nel condominio, la configurabilità di uno spoglio denunciabile con azione di reintegrazione dall’amministratore condominiale, al fine di conseguire il recupero del godimento della cosa, sottratto illecitamente, postula il riscontro di una situazione di compossesso del sottosuolo medesimo, qui desunta dalla destinazione funzionale del bene (la Corte di Milano afferma in proposito di aver accertato un “rapporto imprescindibile di strumentalità con il fabbricato principale”), oltre che, “ad colorandam possessionem”, dalla sua verificata inclusione fra le parti comuni dell’edificio, nonché il riscontro ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda, appunto, i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore.
Del resto, la prova dell’animus spoliandi può essere desunta, per via di logica astrazione, dallo stesso comportamento dell’agente, e tale consapevolezza di mutare lo stato di fatto preesistente contro la volontà del Condominio, secondo l’incensurabile valutazione del giudice di merito, sarebbe stata implicita nella “situazione di fatto dei luoghi”.
Il ricorso principale della società R.G. & c. va perciò rigettato.
(omissis)
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e condanna ciascuno dei ricorrenti a rimborsare al controricorrente Condominio di via …, Milano le spese sostenute in questo giudizio, che liquida per ciascuno dei soccombenti in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.