Il recupero edilizio? Sì, ma non mediante imposizioni ai privati. È il succo di quanto emerso dall’incontro tra l’ex ministro per l’attuazione del programma di Governo, Gianfranco Rotondi (nella foto), e il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici. Tema principale? Appunto la riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente.
Il dato di fondo è la vetustà del patrimonio immobiliare nel nostro Paese, con conseguenti problematiche dal punto di vista della fruibilità, della sicurezza e del risparmio energetico: degli oltre 30 milioni di abitazioni esistenti (dati arrotondati del Censimento 2011) il 13% è stato costruito prima del 1919; il 9% dal 1919 al 1945; il 33,4% dal 1946 al 1971 – anni della ricostruzione e delle grandi migrazioni interne -; dal 1972 al 1991, periodo caratterizzato dalla scelta del mattone quale migliore investimento, è stato costruito il 22,8%; infine dal 1992, periodo comprendente quindi le due grandi crisi dell’edilizia, il restante 16,4%. Le condizioni di manutenzione del patrimonio edilizio indicano che oltre il 22% degli edifici risulta in stato di conservazione mediocre (19,9%) o pessimo (2,2%); nel complesso si tratta di quasi 3 milioni di edifici con evidenti necessità di riqualificazione.
Secondo Colombo Clerici, che esprime la posizione dei proprietari di casa, “fondamentale nella vita del Paese è la questione del recupero, del riutilizzo e quindi della riqualificazione, dell’ammodernamento e dell’efficientamento del patrimonio edilizio esistente. Ad evitare uno spreco della limitata risorsa, rappresentata dal territorio, occorre una rigorosa, ma razionale, politica di riuso e di recupero dell’edificato in stato di obsolescenza: “In Italia il problema dell’urbanizzazione del territorio è particolarmente sensibile dato il particolare congestionamento dovuto al sovraccarico di strutture edilizie in rapporto all’estensione di un territorio che presenta il 40% di superficie montuosa non antropizzata. Ma questo processo di riqualificazione non deve avvenire attraverso misure dirigistiche che impongano ai privati, attraverso normative generali, astratti e aprioristici interventi avulsi dal contesto economico, come si riscontra in alcune impostazioni concettuali. Un esempio ne è la normativa del Regolamento edilizio del Comune di Milano. Fondamentale risulta viceversa il meccanismo della economicità delle relative operazioni edilizio/urbanistiche, che deve esser alla base di ogni corretta ed equa impostazione programmatoria, prevista anche legislativamente. Alla legislazione appartiene dunque il compito, non già di imporre modelli e formule astratte che prefigurino percorsi ideati a tavolino ed avulsi dalla considerazione delle condizioni economiche proprie alle singole fattispecie operative, o di favorire alcuni operatori privilegiati a scapito della generalità dei risparmiatori privati; ma, viceversa, quello di creare le precondizioni sul piano economico, sociale e fiscale, di una convenienza economica che propizi, su larga scala e in modo strutturale, il processo di recupero edilizio”.