Il diritto di condominio sulle parti comuni di un edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso. Sono i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7704 del 19 aprile 2016.
——————
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent 19.4.2016, n. 7704
——————
(omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo la banca lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1051, 1055 e 2697 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto la esistenza di un Condominio con riferimento al complesso monumentale di Palazzo … rispetto ai due vani terranei, non trattandosi di costruzione coeva. Né il giudice distrettuale aveva fatto riferimento ai titoli di provenienza dei beni in questione, dai quali non è possibile rinvenire alcun riferimento all’esistenza di diritti condominiali sul Palazzo ed anzi era stato venduto alla Banca anche il secondo cortile. Dallo stesso atto di donazione dei vani alla resistente emerge che i cespiti avevano accesso da via …, per cui in assenza della reciprocità della utilitas veniva a cadere il presupposto fondamentale.
Aggiunge la ricorrente che il giudice del gravame avrebbe errato anche nel ritenere l’esistenza di una servitù di passaggio quanto all’ulteriore edificio, con violazione dell’art. 1051 c.c., trattandosi di passaggio coattivo.
Con il terzo motivo viene denunciato un vizio di motivazione in ordine alle circostanze di cui al primo motivo.
Vanno esaminati innanzitutto il primo e il terzo motivo del ricorso, che – essendo strettamente connessi – possono essere trattati congiuntamente.
Le censure sono infondate.
La sentenza ha accertato che:
a) dalla c.t.u. pur essendo emerso che i due terranei erano stati realizzati nella loro attuale consistenza in epoca successiva alla primitiva realizzazione del Palazzo …, essi erano interni al perimetro dell’originario edificio, di cui utilizzavano il muro esterno;
b) la situazione era ben evidenziata nella tavola grafica n. 1 laddove i muri preesistenti erano colorati in azzurro, in giallo quelli ex novo;
c) nella sostanza l’originaria destinazione di un porticato era stata modificata con la chiusura, piuttosto semplice, delle strutture esistenti;
d) la chiusura di una porzione di piano dell’edificio doveva ritenersi far parte automaticamente del Palazzo stesso, proprio come il precedente spazio “aperto”, in quanto spazio fisico già ricompreso nel fabbricato, di cui già utilizzava copertura e strutture;
e) i cespiti insistevano sulla medesima particella del Palazzo …;
f) inoltre, anche il “secondo” cortile faceva parte del Palazzo di guisa che i cespiti in questione risultavano racchiusi fra il muro perimetrale esterno del Palazzo e quest’ultimo cortile;
g) la stessa banca appellata riconosceva che per il passato l’accesso a questi locali avveniva anche per il tramite dell’androne prospiciente Corso ….
Tutto ciò induceva la Corte a concludere per il carattere di condominialità delle unità immobiliari de quibus, in quanto facenti parte di un unico complesso immobiliare, essendo stata mutata solo la destinazione di detta area, con un uso più intensificato in ragione della realizzazione di nuovi vani.
Orbene, ai fini di stabilire se potesse operare la presunzione di comproprietà di cui all’art. 1117 c.c., invocata dalla controricorrente ed avversata dalla ricorrente, va considerato che il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. La richiamata disposizione di cui all’art. 1117 c.c., che contiene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.
Nella specie, occorre considerare che, secondo gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, i vani acquistati dall’attrice non erano autonomi e distinti dal Palazzo … e la sentenza ha accertato che, in considerazione della struttura perimetrale e della tecnica di realizzazione dei locali terranei – come si è detto – detti beni risultavano incorporati ab origine in modo definitivo all’edificio monumentale, avendo in comune le mura perimetrali esterne e la copertura.
La questione presenta affinità con alcuni precedenti esaminati da questa Corte che ha ritenuto che, in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso (ex plurimis: Cass. 18 dicembre 2014 n. 26766).
E d’altra parte, deve escludersi anche la dedotta contraddittorietà della sentenza laddove la stessa ha applicato la presunzione di comunione sulla base di presupposti fattuali, quali i muri perimetrali e la copertura, che costituiscono il collegamento strumentale naturale dei beni condominiali, essendo necessari per l’esistenza e l’uso delle singole proprietà, destinati in modo stabile al servizio e al godimento collettivo, per cui la censura proposta non può trovare ingresso in questa sede poiché essa coinvolge – contrastandola, peraltro, con mere asserzioni – una valutazione di fatto operata dal giudice di merito in maniera congrua, logicamente coerente e non inficiata da errori di diritto. In materia di condominio, infatti, spetta esclusivamente al giudice di merito accertare, dopo aver preso in esame la situazione dei luoghi e delle cose, se un determinato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali oppure sia di proprietà esclusiva ovvero se si tratti di bene comune solo a taluni condomini o, infine, se sia comune al condominio e (solo) ad alcuni dei singoli proprietari esclusivi, non potendosi escludere a priori la ricorrenza di una eventualità siffatta (cfr. Cass. 7 maggio 2010 n. 11195).
(omissis)
Passando all’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli arti. 1117, n. 1 e 1102, comma 1 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte errato nel ritenere escluse dalla proprietà comune le scale, nonostante dalla documentazione prodotta, in particolare dai contratti di locazione conclusi dalla sua dante causa, risultasse che quest’ultima fruisse dell’uso della scala condominiale per l’accesso al vano ammezzato di sua proprietà.
Le scale, tecnicamente, danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Ma dall’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, che ha sottolineato la particolare configurazione rispetto ai due locali terranei, ne va esclusa la condominialità.
Il diritto di condominio ha il suo fondamento nel fatto che le parti siano necessarie per l’esistenza, ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.
Alla luce dei motivi esposti, la sentenza impugnata si sottrae alle censure, e per l’effetto vanno rigettati entrambi i ricorsi.
In considerazione della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di cassazione vengono interamente compensate fra le parti.
P.Q.M.
La Corte, rigetta entrambi i ricorsi; dichiara interamente compensate fra le parti le spese di legittimità.