[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
I rapporti che si instaurano tra persone, siano esse fisiche siano esse giuridiche, sono fonte di obbligazione tra le quali in principalità i contratti. Questi sono costituiti dall’accordo di due o più contraenti per costituire regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale; principio prevalente inerente ai contratti è costituito dall’autonomia delle parti nel determinare il contenuto delle clausole contrattuali nel rispetto, comunque, della correttezza e della buona fede.
I contratti si distinguono in contratti tipici e contratti atipici; i primi sono disciplinati da leggi, in primis il codice civile, e gli altri sono pattuiti tra le parti stesse purché il loro contenuto non sia contrario a norme imperative e al buon costume, inteso questo come corretta gestioni degli affari economici e finanziari.
CONTRATTO DI LOCAZIONE
Il contratto di locazione di un bene immobile viene definito dalla dottrina quale diritto personale di godimento di detto bene nel quale a fronte del godimento di quella determinata cosa, il contraente che ne benefici effettua la propria controprestazione pagando un corrispettivo, comprensivo o meno del rimborso delle spese condominiali e di quelle delle utenze tra cui, principalmente, la tassa dei rifiuti solidi urbani. Si tratta pur sempre di un contratto che soggiace alle regole generali che disciplinano tutti i contratti e soprattutto si tratta di un contratto tipico, vale a dire le regole del quale sono dettate sia dal codice civile sia da altre leggi così dette speciali. Ad esso si applicano i principi generali relativi ai suoi elementi essenziali, alla simulazione, alla nullità, alla prescrizione e alla prova di un contratto soprattutto delle sue clausole pattizie.
CODICE E LEGGI
La disciplina dei contratti di locazione di beni immobili è specificatamente stabilita dal codice civile, che è integrato da leggi successive dettate da esigenze contingenti, in particolare di natura sociale. Così vengono disciplinati gli obblighi reciproci del locatore e del conduttore, detto anche locatario o inquilino, tra i quali il pagamento del canone, la durata del contratto, il diniego di rinnovazione e la disdetta e altri peculiari istituti quali, ad esempio, l’avviamento commerciale e la prelazione stabiliti a favore del conduttore di un fondo frequentato dal pubblico degli utenti e dei consumatori.
Il quadro normativo, codicistico e non, è imperativo e le parti possono gestire esattamente il loro rapporto contrattuale comportandosi con buona fede e adempiendo con scrupolosità a tutte le disposizioni di leggi. Qualora una parte non adempia la propria prestazione, trattandosi di un contratto sinallagmatico, la parte adempiente può da una parte chiedere la risoluzione del contratto, che può avvenire per inadempimento e la risoluzione può essere a sua volta giudiziale o di diritto.
RISOLUZIONE E SFRATTO
Nella prima ipotesi il giudice con una sentenza dichiara la risoluzione del contratto dopo aver constatato che l’inadempimento della parte sia grave rispetto all’interesse economico dell’altro contraente. La risoluzione di diritto si verifica nel caso sia di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sia della scadenza di un termine essenziale prevista dall’art. 1457 c.c. e in particolare dal verificarsi di un fatto che le parti stesse all’origine della stipulazione del contratto hanno ritenuto talmente grave da determinare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c..
Una delle obbligazioni principali del conduttore è quella di corrispondere il canone in valuta legale alle scadenze convenzionalmente previste. Nel caso si verifichi una mora del conduttore, il locatore ha diritto di agire in sede giudiziaria con un’intimazione di sfratto per morosità; alla prima udienza il conduttore ha il diritto ex art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 di chiedere un termine per poter sanare la morosità e il magistrato deve concedere questo termine che deve avere una durata non superiore a 90 giorni, estendibile a 120 giorni qualora il conduttore versi in particolare esigenze finanziarie familiari insorte dopo la stipulazione del contratto.
La problematica che sempre è sorta inerisce alla possibilità, per il locatore, di avvalersi della clausola risolutiva espressa sopra indicata di cui l’art. 1456 c.c.; ebbene la giurisprudenza ha riconosciuto la validità di una clausola risolutiva espressa pattuita in contratto, a condizione che il locatore si avvalga di questa introducendo un’azione ex art. 447 bis c.p.c invocando l’applicabilità della predetta clausola. Qualora viceversa il locatore introduca un giudizio con sfratto per morosità e a fronte dell’opposizione del conduttore, mutato il rito, chieda che il magistrato si pronunci in relazione alla invocata clausola risolutiva espressa, non si ha una modifica della domanda bensì una propria e vera mutatio con la conseguenza che la stessa è inammissibile. Considerato che, dopo il mutamento del rito, si riconosce all’intimante una propria difesa solo rispetto alle eccezioni della controparte, non deve mutare la domanda originaria, ma adeguarla alle tesi adversae ed eventualmente aggiungendo ulteriori pretese che, non siano sostitutive di quelle adottate nell’atto introduttivo, ma siano riconducibili nell’ambito di una domanda riconvenzionale.
Del resto la domanda introdotta ex art. 1456 c.c. è radicalmente diversa dalla domanda prevista dall’art. 657 c.p.c. quanto al petitum, considerato che la prima domanda presuppone una sentenza dichiarativa, mentre la seconda una sentenza costitutiva. Questo principio è stato stabilito recentemente dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 9 giugno 2015, n. 11864 e ribadito sempre dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 24 maggio 2016, n. 10691.