In Lombardia si registrano 100.000 alloggi non occupati (30.000 di nuova costruzione) e 60.000 famiglie, che una casa decente non la hanno. Evidentemente domanda e offerta non si incontrano. Queste le cifre fornite nel corso del workshop organizzato dalla Regione sul tema dello sviluppo dei servizi abitativi.
Come rimarca Assoedilizia, “la Regione ha elaborato una serie di iniziative per contenere l’emergenza abitativa; iniziative il cui fulcro è: non più offerta di alloggi pubblici (costruzione di nuove case popolari) bensì servizi abitativi funzionali e più rispondenti ad una domanda decisamente più diversificata chiamando a partecipare attori pubblici (Comuni), privati e del privato sociale (Terzo settore, imprese, Fondi immobiliari). Un esperimento triennale che ha visto sorgere le Agenzie per l’Abitare sociale, quelle per il contrasto alla morosità incolpevole e la stessa misura affitti del Reddito di Autonomia”.
IL CONTESTO
Innanzitutto il contesto. In Lombardia risultano 4,1 milioni di abitazioni occupate da residenti. Di queste, quasi 767mila in locazione, il 19% circa. La provincia di Milano ha il maggior numero di alloggi in locazione, 22% – agli inizi degli anni ’70 sfioravano il 40% – seguita da Brescia e Mantova (20%), Pavia e Cremona (19%), Lodi e Varese (15%), Como (16%), Lecco e Bergamo (15%), Monza e Brianza (14%), chiude Sondrio (12%). A locare sono per il 67% persone fisiche, seguono le Aler (11,9%), imprese o società si collocano al terzo posto (8,1%). Poi ci sono le proprietà di Comuni, enti previdenziali, cooperative edilizie ecc.
Il patrimonio pubblico-Erp che conta nella regione 165.767 alloggi – oggetto principale del cambiamento della politica regionale nel settore – è per il 64,1% di proprietà Aler, seguito dal Comune di Milano con 28.814 alloggi (17,4%). A Milano Aler conta 62.332 alloggi (37,60% del totale).
GLI SFRATTI
I 12.308 provvedimenti di sfratto emessi in Lombardia nel 2015 riguardano per la quasi totalità la morosità più o meno incolpevole (96,4%). Nella classifica al primo posto in assoluto risulta ovviamente la città più popolosa, Milano, con 4.205 sfratti: invece, in rapporto al numero delle famiglie, le province che si collocano sopra la media regionale (uno sfratto ogni 358 famiglie) sono Bergamo, Sondrio, Lecco, Como, Cremona, Monza e Brianza (a Brescia, seconda città della regione, sta dando buoni risultati una iniziativa tra Comune, proprietà edilizia, istituti di credito). In altre parole, nel capoluogo lombardo dove più alta è la tensione abitativa gli sfratti sono al di sotto della media regionale.
GLI INTERVENTI
La Regione ha individuato cinque settori di intervento cui ha destinato circa 95 milioni di euro pari a una media di 1.580 euro spalmati su tre anni per ciascuna delle 60.000 famiglie e sono destinati ai comuni con alta tensione abitativa. Iniziative sperimentali:
* 8,4 milioni ai Comuni per iniziative a carattere rotativo tendenti ad eliminare l’occupazione a vita di un alloggio popolare;
* 11,8 milioni ai Comuni per il reperimento di alloggi da concedere in locazione a canoni concordati;
19 milioni per contenere gli sfratti e stimolare la contrattazione a canone concordato;
* 50 milioni ai Comuni per ridurre l’incidenza del canone sul reddito dei nuclei familiari meno abbienti;
* 4,7 milioni per un sostegno straordinario alle famiglie in affitto.
I RISULTATI
I risultati ottenuti sono contrastanti, pur dando atto alla Regione di avere analizzato le tante cause dell’emergenza abitativa e di avere indicato ipotesi di soluzione. Il canone concordato (sgravi fiscali ai proprietari privati in cambio di canoni ridotti rispetto al mercato libero) – che, in assenza di un piano nazionale di investimenti pubblici in edilizia, viene indicato quale più efficace tramite tra la domanda del “ceto medio” e l’offerta – a Milano, per ora, non funziona. Tra le cause, si sostiene, una relativa carenza di informazione, complessità burocratiche ed anche una diffusa sensazione, tra i proprietari, di scarsa assistenza da parte degli uffici preposti. Interessante, all’opposto, il caso di Bologna dove gli uffici per i contratti concordati garantiscono, in sostanza, un’assistenza a proprietari ed inquilini per tutta la durata del contratto. Semplificando: una sorta di “garanzia” come quella fornita in caso di acquisto di un’automobile. Sarebbe infatti inconcepibile che il rapporto venditore (proprietario)-acquirente (inquilino) si interrompesse al momento del ritiro della vettura (sottoscrizione del contratto di locazione).
ASSOEDILIZIA
Secondo Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, che rappresenta la proprietà immobiliare privata, “al di là delle buone intenzioni e di iniziative sia pure lodevoli ma di nicchia, non si adottano, a livello legislativo nazionale, le misure necessarie a produrre l’effetto di una vera incentivazione dell’investimento privato in locazione, come risposta di sistema al fabbisogno abitativo della Lombardia e del Paese. La locazione che andrebbe incentivata è quella del contratto libero. La politica governativa, viceversa, è tutta protesa ad incentivare il contratto cosiddetto agevolato. Questa formula contrattuale, a canoni concordati, è senz’altro virtuosa sul piano sociale, ma non lo è altrettanto sul piano economico. Ipotizzare investimenti ex novo che si basino sul presupposto di tener più basso l’affitto, compensando con alleggerimenti fiscali, significa immaginare un investimento all’insegna del risparmio, tanto nella qualità della costruzione, quanto nella qualità dell’inquilinato. Il che, quand’anche stesse in piedi sul piano della remuneratività (e a Milano sembra non sia neppure così), non rappresenterebbe di certo la condizione ottimale per conseguire la seconda fra quelle che indichiamo come finalità che motivano l’investimento a reddito (dopo la redditività diretta): cioè la rivalutazione patrimoniale del bene.
Insomma, nella logica economica è preferibile investire in un immobile buono e con un inquilino di prim’ordine, piuttosto che in un immobile meno buono e con un inquilino di second’ordine, a parità di ricavo reddituale al netto delle imposte. E dunque una politica abitativa del settore privato che si fondi sul principio di dover risparmiare sui costi e sulle tasse per abbassare i canoni di locazione non può essere strutturale, al fine di incentivare la creazione di nuovi investimenti, o il mantenimento nel tempo di quelli esistenti, ma piuttosto può essere residuale al fine di risolvere – e non sempre – preesistenti situazioni di emergenza, nell’offerta e nella domanda.
E la conseguente politica dei differenziali fiscali, per indurre i proprietari a locare a canoni concordati, praticata da qualche anno nel nostro Paese, mostra, all’atto pratico, tutti i suoi limiti sul piano del risultato”.