In una lite condominiale occorrono 8 anni soltanto per arrivare al giudizio di primo grado. I condòmini che hanno promosso l’azione legale nei confronti di altri residenti e dello stesso condominio chiedono, a questo punto, un risarcimento del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo. Il caso finisce in Cassazione. Ecco come si sono pronunciati gli Ermellini.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., sent. 1.7.2016,
n. 13566
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 26 febbraio 2014 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda proposta da R. e R. C. intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del giudizio dagli stessi introdotto nei confronti di P. e di D., nonché del Condominio per l’accertamento dei responsabili delle infiltrazioni di acqua verificatesi nel loro immobile, dinanzi al Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Portici, con atto di citazione notificato l’11 gennaio 2001 e definito con sentenza depositata il 29 gennaio 2009, liquidato l’indennizzo in euro 4.000 per ciascun ricorrente, per il periodo di durata irragionevole del giudizio presupposto di quattro anni, computata in quattro anni la ragionevole durata ordinaria per il primo ed unico grado.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato a due motivi; gli intimati non hanno svolto difese in sede di legittimità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo l’Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, nonché dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per avere la corte di merito totalmente omesso di evidenziare che i ricorrenti avevano richiesto la liquidazione dell’indennizzo non già uti singuli, bensì in via cumulativa, riferibile ad entrambi gli eredi.
La censura è del tutto priva di pregio.
Il diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole di un processo spetta al singolo soggetto che vi ha partecipato, indipendentemente dal fatto che questi ne abbia condiviso gli esiti con altre parti in posizione litisconsortile, perché la sofferenza morale indennizzabile è per sua natura personale e come tale è trattata nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Ed infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’indennizzo del danno non patrimoniale per la durata non ragionevole del processo va determinato nel rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per come essa vive nelle decisioni della Corte Europea adottate in casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, sicché la liquidazione dell’indennizzo deve essere effettuata in favore di ogni singolo ricorrente e non può essere determinata in un solo importo globale e complessivo per più ricorrenti (Cass. n. 8034 del 2006; nello stesso senso, cfr. Cass. n. 18683 del 2005 e Cass. n. 3519 del 2015).
Inoltre, nulla agli atti autorizza a supporre che i ricorrenti avessero inteso limitare l’indennizzo ad una somma unica per entrambi, disponendo dei loro rispettivi diritti in guisa da ridurli ad una sola pretesa di minor ammontare.
Con il secondo motivo l’Amministrazione denuncia violazione e/o falsa applicazione degli arti. 2 legge n. 89 del 2001 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per essere stati liquidati gli interessi sull’indennizzo riconosciuto dalla domanda pur in mancanza di una specifica domanda sul punto.
Il mezzo è fondato, giacché dall’esame del ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione, consentito in questa sede, risulta che la originaria ricorrente non ha formulato domanda per gli interessi.
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione, configurandosi, non già come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico.
Dal carattere indennitario di tale obbligazione discende che gli interessi legali possono decorrere, sempreché richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere invece accordata (Cass. n. 2248 del 2 febbraio 2007).
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto limitatamente al secondo motivo, rigettato il primo mezzo. Il decreto impugnato va cassato in relazione al motivo accolto e decidendo anche nel merito, non richiedendosi a tal fine ulteriori indagini in fatto, la decorrenza degli interessi sull’indennizzo come determinato dalla corte di merito sono dovuti solo a decorrere dalla data della pronuncia del decreto. In considerazione del parziale accoglimento del ricorso, con conseguente reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità vengono compensate, mentre vanno confermate quelle del giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte, rigettato il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito fissa la decorrenza degli interessi sull’indennizzo determinato dalla corte di merito dalla data della pronuncia del decreto; confermate le spese processuali liquidate avanti alla corte di merito, dichiara interamente compensate fra le parti quelle della legittimità.