[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
La gestione del condominio comporta l’obbligo di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi, quali l’appalto per la pulizia delle scale e la perenne conservazione delle parti e degli impianti comuni dello stabile: per esempio la facciata dello stabile e l’impianto dell’autoclave. L’art. 1123 c.c. detta i criteri legali in forza dei quali le spese sostenute siano ripartite tra tutti i condòmini.
Vi sono, infatti, spese che sono relative a strutture e installazioni che servono a tutti i condòmini, anche se a volte per un mero uso potenziale, e altre, invece, che sono destinate al godimento soltanto di alcuni condòmini. Le prime devono essere ripartite tra tutti i condòmini indistintamente, seppure pro quota inerente al valore millesimale attribuito a ciascuna loro proprietà, mentre le seconde devono essere ripartite soltanto tra coloro che usano il bene o il servizio che ne ha comportato la relativa spesa. In relazione, nondimeno, alla possibilità di vendita di una singola unità immobiliare, il legislatore ha stabilito una solidarietà per i debiti nei confronti del condominio tra alienante e acquirente, sebbene limitata alla gestione in corso e a quella precedente, per cui l’amministratore può chiedere il saldo delle spese di tali gestioni direttamente al nuovo condomino, indipendentemente da eventuali differenti pattuizioni intervenute tra questi e il venditore, nei cui confronti conserva, in tutti i casi, il diritto di rivalsa per quanto corrisposto all’amministratore del condominio. Il legislatore, con la legge 11 dicembre 2012 n. 220, ha stabilito anche la solidarietà tra nudo proprietario e usufruttuario per quanto attiene al pagamento delle spese de quibus, indipendentemente che queste siano di natura ordinaria o straordinaria.
Tutte le spese, comunque, devono essere deliberate dall’assemblea non avendo l’amministratore un potere autonomo di spesa. Questi, ai sensi dell’art. 1130 c.c. deve provvedere a riscuotere i contributi necessari per la conservazione del patrimonio immobiliare affidatogli dai condòmini, radicando le opportune azioni di recupero crediti nei confronti dei morosi, sulla base e in forza della rituale e valida delibera dell’assemblea. Infatti, quale mandatario, l’amministratore deve depositare annualmente il conto della gestione e convocare l’assemblea per la sua approvazione, tant’è che, qualora non vi provveda, può essere revocato dall’incarico dall’autorità giudiziaria a seguito del ricorso anche di un solo condomino.
In questa ottica si pone la più recente giurisprudenza che suddivide le spese tra ordinaria e straordinaria gestione. Tra le prime si pongono quella normali per il perseguimento dello scopo di utilizzare e godere dei beni comuni da parte di tutti i condòmini, mentre tra le seconde si annoverano quelle che comportano, per la loro particolare consistenza, un onere economico rilevante, comprese quelle che necessitano per adeguare gli impianti a normative sopravvenute all’originaria installazione.
Il potere di spesa dell’amministratore risponde a criteri conformi alla propria iniziativa, pur nel rispetto del rendiconto preventivo per le spese ordinarie, mentre deve adeguarsi tassativamente alla delibera assembleare per le spese straordinarie. Il principio, solo in parte, innovativo, è stato stabilito con una sentenza della cassazione del 25 maggio 2016 n. 10865. Unica eccezione è rappresentata dal secondo comma dell’art. 1135 c.c. verificandosi la quale l’amministratore gode di un diritto autonomo di spesa, seppur limitato soltanto agli interventi urgenti e improcrastinabili per eliminare le situazioni di pericolo a cose e persone. Quest’ultimo principio si applica anche ai condòmini che intervengono su parti comuni per effettuare riparazioni urgenti ai sensi dell’art. 1134 c.c..