Eliminare al cento per cento i rischi connessi a un terremoto è impossibile. Quello che invece si può fare è ridurne, anche in modo drastico, gli effetti. A questo scopo la tecnica innovativa più efficace è quella dell’isolamento sismico: sostanzialmente, si tratta di inserire, tra la fondazione di un edificio e la struttura in elevazione, degli isolatori mediante i quali filtrare l’azione sismica e permettere al fabbricato di “scivolare” rispetto al suolo.
L’altro fattore sul quale è possibile agire è l’adozione di misure e politiche, a livello nazionale, in grado di favorire la crescita, in Italia, di una “cultura della prevenzione”. Sono questi i due grandi temi affrontati dal dirigente di ricerca Paolo Clemente (foto), responsabile del laboratorio Prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti dell’Enea, nel corso dell’intervista realizzata dalla nostra redazione.
Ing. Clemente, può parlarci della tecnica dell’isolamento sismico? In cosa consiste e da quanto tempo si usa?
Consiste nel mettere dei dispositivi di isolamento sismico tra la fondazione di un edificio e la struttura in elevazione. I più diffusi sono dei grossi cilindri di gomma e acciaio e hanno la funzione di separare l’edificio dal suolo, in modo che sia libero di muoversi rispetto al terreno. Quindi, anziché incastrare l’edificio al suolo, lo svincoliamo in modo che possa oscillare orizzontalmente. La funzione degli isolatori è quella di filtrare l’azione sismica (che viene dal terreno): così facendo, all’edificio arriva un’azione sismica molto ridotta che è in grado di sopportare, addirittura senza danneggiarsi.
L’isolamento sismico, in realtà, non è un’idea nuova. Già Plinio il Vecchio parlava di un tempio di Diana ed Efeso fondato, anziché direttamente sul suolo, su strati di velli di lana e di carbone. Gli storici e i cultori della materia hanno individuato in questo un primordiale sistema di isolamento che consentiva al tempio di muoversi in occasione di un sisma. Esistono, poi, brevetti in materia tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 ma, certamente, lo sviluppo definitivo si è avuto negli anni 70 con l’introduzione di dispositivi di isolamento molto simili a quelli che gestiamo noi oggi.
Per quanto riguarda l’edificato esistente, sappiamo che, assieme al Politecnico di Torino, Enea ha brevettato il cosiddetto “isolatore per edifici storici”. Di cosa si tratta?
Se è vero che la tecnica dell’isolamento sismico è facilmente applicabile per edifici di nuova realizzazione, non è altrettanto semplice da applicare per gli edifici esistenti, in quanto bisogna lavorare con l’edificio “sulla propria testa” e andare a tagliare, ad esempio per gli edifici in muratura, i muri al piano terra o al piano interrato. Per gli edifici storici il problema è amplificato perché la richiesta che usualmente viene fatta, giustamente, dalle nostre sovraintendenze è di non toccarli o di toccarli il meno possibile. Allora l’isolamento sismico è un’ottima soluzione proprio perché, anziché cercare di intervenire sull’edificio, mira a ridurre le azioni sismiche che possono generarsi sull’edificio. La procedura consiste nell’andare a porre l’isolamento sismico al di sotto dell’edificio, nel terreno sottostante: si inseriscono tanti tubi accostati e poi, a metà, nel piano diametrale di questa serie di tubi, inseriamo questi dispositivi di isolamento che separano i semi-tubi superiori da quelli inferiori. Infine, un sistema di pareti perimetrali completerà l’opera. Così l’edificio è isolato sismicamente rispetto al suolo, ma non viene per nulla toccato nella sua parte in elevazione. C’è da dire che i costi di un simile intervento sono abbastanza impegnativi. Tuttavia in alcuni casi, ad esempio per alcuni edifici dell’Aquila, i costi sono stati del tutto equivalenti a quelli di altre tecnologie tradizionali.
Quali sono le tecnologie più diffuse per la messa in sicurezza degli edifici o per la loro costruzione in chiave antisismica (soprattutto parliamo delle tecniche a impatto economico contenuto)?
Noi ci auguriamo che l’isolamento sismico si diffonda e che venga adoperato su larga scala. Questo, ovviamente, influirebbe anche sui costi della stessa tecnica. Tra le altre tecnologie, nell’ambito di quelle più moderne, sono molto affidabili quelle di dissipazione dell’energia. Esse consistono nell’inserire, in punti opportuni della struttura dell’edificio, degli assorbitori di energia. Quindi l’energia che il suolo trasmette all’edificio viene assorbita da questi dispositivi, senza che vada ad interessare la struttura.
Esistono anche tecniche più tradizionali e a basso costo, per esempio, per gli edifici in muratura a volte basta inserire delle semplici catene, ovvero dei tiranti in acciaio, lungo le pareti perimetrali e di spina, in maniera da collegarle e, quindi, da evitare che in occasione di un terremoto possano staccarsi le une dalle altre e ribaltarsi. Lo stesso vale per le connessioni tra le pareti stesse nei cantonali, nei martelli e negli incroci, così come tra solai (quindi strutture orizzontali) e pareti verticali. A volte basta solo questo. Altre volte, invece è importante sostituire degli elementi molto pesanti, per esempio le coperture in cemento armato che spesso, in realtà, sono andate a peggiorare la capacità sismica degli edifici in muratura, nati, magari, con una copertura leggera in legno. Proprio il legno e anche l’acciaio sono materiali che, probabilmente, si sposano molto meglio con una muratura antica che non con il cemento armato.
Cosa manca all’Italia affinché si raggiunga un adeguato livello di cultura della prevenzione antisismica? Cosa propone Enea?
Avete centrato in pieno il vero problema, perché da un punto di vista tecnico sappiamo già cosa fare, sia per le nuove costruzioni, sia per quelle esistenti. Il problema è, intanto, reperire i fondi. Poi, come far cambiare la mentalità. L’Enea ha individuato tre aspetti principali che sono: in primis la formazione di un’anagrafe del costruito. Quindi dobbiamo censire e sapere quello che c’è e in che condizioni si trova, in modo da poter stabilire delle priorità. Il secondo punto è l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria: questo è un progetto che abbiamo portato avanti assieme a Federproprietà, l’ordine degli ingegneri di Roma e altre realtà, già negli anni scorsi. Abbiamo presentato una proposta che è in Senato dal giugno 2013. Tengo a precisare che a noi non interessa tanto chi pagherà i costi di ricostruzione, anche se pure questo è importante, ma il fatto che l’assicurazione costituirebbe uno stimolo, uno strumento per avviare una prevenzione. Per poter assicurare un edificio bisogna, innanzitutto, capire in che condizioni di sicurezza sta e questo nell’interesse della compagnia di assicurazione e di chi deve pagare. Il concetto è che paga di più chi ha un edificio poco sicuro e non chi abita in zone ad alto rischio sismico. Il terzo punto è quella di una sorta di certificazione, esattamente come si fa nell’ambito dell’efficienza energetica: l’edificio deve avere un suo voto, anche da un punto di vista strutturale. Da questo voto, o classe di appartenenza, deve dipendere il suo costo. Questo invoglierebbe cittadini e amministratori a investire sulla sicurezza.