L’istituto della “prorogatio imperii” è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e, pertanto, non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c., comma 2, o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. È il principio rimarcato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16070 dello scorso 2 agosto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 2.8.2016,
n. 16070
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 15 luglio 2002 il Condominio di via … proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Genova per euro 4.885,61, oltre accessori, in favore di M.C. – a titolo di rimborso delle somme da questo anticipate per conto dello stesso Condominio nel corso degli anni in cui ne era stato amministratore – deducendo che detto ingiungente era stato nominato amministratore nell’assemblea del 18.3.1996 per il solo anno 1996, senza che fosse rieletto per gli anni successivi, nonostante questi avesse operato per tre anni senza mai convocare l’assemblea e senza mai presentare i prescritti rendiconti, oltre a non interessarsi della gestione delle cose comuni, in particolare i numerosi problemi di infiltrazione idrica che affliggevano lo stabile condominiale; pertanto, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo e spiegava domanda per ottenere la condanna del M.C. al risarcimento dei danni causati alla proprietà dalle infiltrazioni idriche.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’opposto, il quale deduceva che nel corso dell’assemblea tenutasi il 3.7.2000 era stato approvato il rendiconto relativo agli anni fino al 2000, nonché il preventivo per l’anno 2001, il giudice adito, accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il d.i., con condanna dell’opposto al pagamento di somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni.
In virtù di rituale appello interposto dal M.C., la Corte di appello di Genova, nella resistenza del Condominio appellato, accoglieva il gravame e in riforma della decisione di prime cure, confermava il provvedimento monitorio opposto e respingeva le domande proposte dal Condominio.
(omissis)
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione il Condominio, sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il M.C..
(omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Condominio lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123, 1129, 1130 e 1136 c.c., nonché vizio di motivazione, assumendo che nella specie non poteva essere invocato l’istituto della prorogatio delle funzioni di Amministratore da parte del M.C., giacché questi non aveva adempiuto ai propri doveri legati alla gestione dello stabile, omettendo di convocare l’assemblea, di riscuotere i contributi dei condòmini ed in genere tutte le attività che in tale ruolo gli competevano. Precisava che nominato per il solo anno 1996, la prima assemblea era convocata dallo stesso il 7.3.2000 e l’ordine del giorno aveva riguardato esclusivamente l’approvazione del rendiconto per l’anno 1999 e del bilancio preventivo per il 2000, e nonostante ciò la corte aveva ritenuto che avesse agito in regime di prorogatio, istituto inapplicabile nel caso di specie per la grave omissione del M.C. a tutte le sue attribuzioni.
Il motivo è privo di fondamento essendo resistito dalla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ritiene di condividere, la quale ha affermato che in tema di condominio di edifici, l’istituto della “prorogatio imperii”, che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condòmini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore, è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e, pertanto, non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c., comma 2, o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina (Cass. n. 18660 del 2012; Cass. n. 1405 del 2007 e Cass. n. 4531 del 2003). Ne consegue che l’amministratore di condominio il cui mandato sia venuto meno, per qualunque causa, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza dei comproprietari.
Nel caso in esame, pertanto, la prorogatio dell’amministratore è stata legittimamente ritenuta dalla Corte territoriale.
Con il secondo motivo il Condominio lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123, 1129, 1130, 1136 e 1713 c.c., nonché vizio di motivazione, per non essere stati approvati espressamente dall’assemblea del 7.3.2000 i rendiconti relativi agli anni precedenti al 1999, mentre il giudice di merito aveva erroneamente ritenuto che il consuntivo del 1999 comprendeva anche i saldi dell’esercizio precedente, con la conseguenza che in tale occasione si sarebbe approvato il rendiconto del M.C. reso in relazione all’intero periodo della sua amministrazione dello stabile. Circostanza che per la corte distrettuale risultava avvalorata dal tenore del verbale delle consegne tra il M.C. ed il nuovo amministratore, in cui veniva indicato un importo a credito dell’uscente, non contestato dal Condominio.
Anche detta censura è infondata.
Premesso che nessuna norma codicistica (non indicatane una in tale senso nel regolamento condominiale da parte del ricorrente) impone il rispetto, nell’approvazione dei bilanci consuntivi dei condomini, del principio della rigorosa sequenza temporale e ciò trova ragione nella necessaria semplicità e snellezza della gestione dell’amministrazione del condominio, che tollera, senza concreti pregiudizi per la collettività condominiale, la possibilità di regolarizzare eventuali omissioni nell’approvazione dei rendiconti (cfr. Cass. n. 11526 del 1999 e Cass. n. 13100 del 1997), osserva il Collegio che la delibera del 7 marzo 2000 che la Corte d’Appello avrebbe – a dire del ricorrente – erroneamente interpretato, aveva approvato all’unanimità non solo il rendiconto relativo all’esercizio 1999 ed il preventivo dell’anno 2000, ma anche tutti gli esercizi precedenti. Il problema si sposta allora sul contenuto del documento, sottoposto all’approvazione dell’assemblea condominiale, che la corte territoriale ha ritenuto di ratifica successiva dei bilanci dell’intero periodo in cui il M.C. è stato amministratore dell’immobile. La censura si risolve, dunque, in una alternativa ricostruzione del contenuto della delibera, attività certamente preclusa nel giudizio di legittimità e pertanto non vale a demolire il percorso argomentativo utilizzato dalla Corte d’Appello laddove, del tutto congruamente, ha definito temporalmente la portata dell’unica delibera, evidenziando il dato di fatto rappresentato dal comprendere il consuntivo del 1999 anche i saldi degli esercizi precedenti, senza che venisse mossa alcuna specifica contestazione riguardo alle singole voci del conto. In considerazione di tale ratio decidendi il ricorrente, che ha sostanzialmente invocato l’errore di diritto della sentenza, avrebbe dovuto non solo esporre le ragioni di diritto poste a sostegno del suo assunto (Cass. n. 5581 del 2003), ma anche riportare il contenuto della delibera, con l’indicazione delle voci di spesa della contabilità condominiale non confortate da riscontri documentali.
In assenza di tali specifiche censure, la valutazione e l’interpretazione del documento in oggetto, essendo – come si è detto – immune da vizi di motivazione, sono insindacabili in sede di legittimità, perché rientrano nell’indagine di fatto riservata al giudice di merito.
Né l’aver fatto ricorso alla considerazione che precede o a quella di avvalorare il contenuto del verbale delle consegne tra il M.C. ed il nuovo amministratore può concretare il vizio denunciato dal ricorrente, trattandosi di argomentazioni logiche, che non postulano la deduzione ad opera delle parti né, tanto meno, la proposizione di formali eccezioni.
(omissis)
In conclusione, deve disporsi il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cessazione, che liquida in complessivi euro 2.200, di cui euro200 per esborsi, oltre al rimborso di spese forfettarie ed accessori come per legge.