L’abuso di detersivi contenenti candeggina in parti condominiali pubbliche è sanzionabile in quanto oggetto di molestie nei confronti degli altri condòmini. Quanto ribadito dalla Cassazione confermando la condanna inflitta a un condomino dal giudice di merito.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 41726/2014
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Padova ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputata alla pena dell’ammenda, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., perché, usando in spazi condominiali ad uso pubblico in modo eccessivo ammoniaca e candeggina, molestava condòmini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici (reato ritenuto permanente fino al 28 gennaio 2009).
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, atto d’impugnazione qualificato come appello, deducendo: 1) l’erronea valutazione delle emergenze processuali, perché non si sarebbe considerato che la vicina di casa querelante aveva una soglia di tollerabilità delle emissioni ben inferiore rispetto a quella dell’uomo comune, né si sarebbe considerato che i testi indotti della difesa avevano dichiarato di non essere stati molestati dalle esalazioni e che non erano stati effettuati accertamenti in ordine alla intollerabilità da parte di organi tecnici; 2) l’erronea valutazione delle emergenze processuali quanto alla pena e alle circostanze attenuanti e al risarcimento del danno, perché non si sarebbe tenuto conto della saltuarietà dell’uso di detergenti.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte, la difesa sostiene l’ammissibilità dell’impugnazione, da riqualificarsi come ricorso per cassazione, insiste di doglianze già proposte ed eccepisce la prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Preliminarmente l’impugnazione – trasmessa a questa Corte dalla Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 21 maggio 2014 – deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna alla sola pena dell’ammenda.
Il ricorso è inammissibile.
Esso consiste, infatti, in generiche critiche alla motivazione della sentenza impugnata, dalle quali non emergono, neanche in via di semplice prospettazione, vizi rilevabili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. Si chiede, in sostanza, sia ai fini della responsabilità penale, sia ai fini del trattamento sanzionatorio e della determinazione del risarcimento del danno, una rivalutazione del compendio probatorio già ampiamente analizzato dal giudice di merito. Con motivazione logica e coerente, il Tribunale ha rilevato, infatti, che i testimoni indotti della parte civile e gli accertamenti fotografici circa la coloritura del pavimento dovuta all’uso dei detergenti hanno dimostrato con certezza la colpevolezza dell’imputato; i testi hanno specificato, in particolare, la presenza di odori forti e di lacrimazione degli occhi, oltre che, per alcuni di essi, problemi respiratori. Per contro – prosegue il Tribunale – la differente versione resa dei testi della difesa non inficia tali conclusioni, perché essi sono soggetti che abitualmente lavorano fuori tutto il giorno o che non hanno utilizzato gli spazi antistanti all’abitazione dell’imputata dove avvenivano le emissioni nocive. Parimenti logico e coerente è l’iter motivazionale seguito dal Tribunale quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione del risarcimento del danno, perché esso ha correttamente valorizzato il dato della permanenza della condotta molesta, attuata ben conoscendo il disagio della persona offesa e la durata pluriennale dell’esposizione di quest’ultima alle emissioni.
(omissis)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.