[A cura di: avv. Gian Vincenzo Tortorici]
Una fonte delle obbligazioni, disciplinate nel libro quarto del codice civile, è il contratto che, come stabilito dall’art. 1321 cod. civ., è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale.
I requisiti del contratto per la sua validità, ai sensi del secondo comma dell’art. 1325 cod. civ., sono:
a) l’accordo delle parti;
b) la causa;
c) l’oggetto;
d) la forma, se prescritta dalla legge sotto pena di nullità (Cass. civ., Sez. I, 11 aprile 2016, n. 7068; Cass. civ., Sez. II, 19 aprile 2012, n. 6130).
L’accordo delle parti è rappresentato da una proposta di una parte e dall’accettazione dell’altra. La causa del contratto è definita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in mancanza di una indicazione legislativa, lo scopo socio-economico che ha determinato le parti a concluderlo. L’oggetto del contratto si identifica nella prestazione che deve essere eseguita dalle parti e, conseguentemente, nelle obbligazioni da loro assunte. Il contratto ha natura sinallagmatica, per cui a fronte di una prestazione si deve effettuare una controprestazione, sempre valutabile economicamente.
Il legislatore ha previsto, altresì, che il contratto possa essere:
a) sottoposto a condizione sospensiva o risolutiva;
b) simulato.
In entrambe le fattispecie ha dettato una precisa normativa finalizzata a ridurre le possibili controversie che sarebbero insorte tra le parti, inerenti alla concreta esecuzione. Si è rilevato che il contratto è valido in presenza dei requisiti ut supra dedotti; l’invalidità del contratto è costituita dalla sua nullità o dalla sua annullabilità.
La nullità, che è imprescrittibile, può inerire all’intero contratto o a sue singole clausole. In questa seconda ipotesi, il contratto è nullo se risulti che le parti non lo abbiano concluso in assenza di queste; se, viceversa, la clausola nulla possa essere sostituita ex lege da una norma imperativa, il contratto è valido con questa sostituzione ex art. 1419 cod. civ. (Cass. civ., Sez. V, 22 aprile 2016, n. 8220; Cass. civ., Sez. III, 21 marzo 2011, n. 6364).
L’annullabilità del contratto, che è prescrittibile, è causata:
1) dall’incapacità di una parte;
2) da errore, violenza o dolo subiti da un contraente; in quest’ultima ipotesi, il legislatore stabilisce dettagliatamente quando questi vizi del consenso siano talmente rilevanti da determinare l’inefficacia del contratto.
Può accadere che un contratto valido non sia adempiuto per colpa di una parte; in questo caso può essere chiesta la sua risoluzione dalla parte adempiente o che sia pronta ad adempiere. La risoluzione per inadempimento può essere giudiziale ex artt. 1453 e 1455 cod. civ. (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2016, n. 4314; Cass. civ., Sez. VI, 23 giugno 2011, n. 13887) e di diritto ex artt. 1454 (diffida ad adempiere [Cass. civ., Sez. II, 21 luglio 2016, n. 15070; Cass. civ., Sez. III, 18 agosto 2011, n. 17348]), art. 1456 (clausola risolutiva espressa [Cass. civ., Sez. VI, 11 marzo 2016, n. 4796]) e art. 1457 (termine essenziale [Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14426]) cod. civ..
La risoluzione del contratto può anche essere determinata dalla impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione o dalla sua eccessiva onerosità risultante per il verificarsi di fatti straordinari e imprevedibili.
Analoga disciplina normativa è prevista per gli atti unilaterali che provengono da una sola parte e che producono effetti giuridici nella sfera giuridico-economica del destinatario; gli atti de quibus producono effetti dal momento che pervengono a conoscenza dell’altra parte (Cass. civ., Sez. I, 6 maggio 2015, n. 9127).
FORMA DEL CONTRATTO
L’art. 1350 cod. civ., in combinato disposto con il n. 4) dell’art. 1325 cod. civ., stabilisce quali atti debbano essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità. L’elencazione prevista nel suddetto articolo, non è tassativa poiché lo stesso legislatore, al n. 13), cita “gli altri atti specialmente indicati dalla legge”; da ultimo, si rammenta l’art. 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in tema di contratti di locazione per immobili urbani, destinati a uso abitativo.
Mancando la forma scritta il contratto è nullo e, dunque, inefficace con la conseguenza che può non essere eseguito e neppure è convalidabile ex art. 1423 cod. civ.. Inoltre, il legislatore ha stabilito che alcuni contratti debbano essere provati esclusivamente per iscritto quale, ad esempio, la transazione disciplinata dall’art. 1965 cod. civ. (Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2016, n. 14432; Cass. civ., Sez. II, 4 maggio 2016, n. 8917).
L’articolo 1350 cod. civ. costituisce una eccezione alla regola generale per cui un contratto normalmente è stipulato con forma libera, in forza dell’autonomia delle parti contraenti, ex art. 1322 cod. civ..
L’art. 1350 cod. civ. prevede, quale forma scritta, l’atto pubblico e la scrittura privata; questa può essere anche “autenticata”. La differenza tra atto pubblico e scrittura privata autenticata è che il primo fa piena prova in quanto redatto dal pubblico ufficiale che attesta la provenienza di quanto le parti dichiarano ex art. 2699 cod. civ., ma non la veridicità delle loro manifestazioni, mentre nella seconda il pubblico ufficiale si limita ad attestare che è avvenuta in sua presenza la sottoscrizione dell’atto ai sensi dell’art. 2701 cod. civ..
Ma, ut supra dedotto, il legislatore ha previsto sia la forma scritta ad substantiam, mancando la quale il contratto è nullo, sia la forma scritta ad probationem, in carenza della quale il contratto è sempre valido ed efficace, in quanto la forma incide esclusivamente ai fini della prova dell’esistenza del contratto stesso o di alcune sue singole clausole.
La dottrina ha ulteriormente individuato la forma ad regularitatem che non è essenziale per la validità del contratto, ma è necessaria per il conseguimento di altri scopi, soprattutto di pubblicità e/o di esigenze fiscali.
Le conseguenze di quanto sopra dedotto ineriscono alla prova di quanto asserito o contestato in giudizio nell’ipotesi di controversia inerente all’interpretazione o all’esecuzione del contratto stipulato. Nel caso un contratto sia stipulato con atto pubblico, questo fa piena prova, ex art. 2700 cod. civ., sino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale; per contro, la scrittura privata fa piena prova ex art. 2702 cod. civ. sino a quella della falsità delle dichiarazioni in essa contenute (Cass. civ., Sez. I, 27 maggio 2016, n. 11028).
È ammessa la prova per testi, indifferentemente allorché sia richiesta la forma scritta ad substantiam o quella ad probationem, esclusivamente allorché il contraente interessato abbia senza sua colpa perso il documento contrattuale, ex art. 1324 cod. civ. (Cass. civ., Sez. I, 7 luglio 2016, n. 13857).