[A cura di: Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.com]
Un condomino aveva citato in giudizio il condominio per costringerlo a rifare i lavori di copertura condominiali e a risarcirlo dei danni: a seguito delle infiltrazioni, infatti, non aveva potuto locare l’immobile di sua proprietà. In primo grado il condominio veniva condannato all’esecuzione dei lavori e al risarcimento dei danni, ma in appello veniva rigettata la domanda di risarcimento perché l’attore non aveva fornito elementi per la loro quantificazione.
Il condomino danneggiato propone in Cassazione un ricorso, con la sentenza 10870/2016, viene accolto relativamente al motivo con il quale è censurata la decisione della Corte di Appello la quale “pur avendo ravvisato la responsabilità del condominio, aveva tuttavia escluso il diritto al risarcimento del danno per difetto di prova, relativamente al pregiudizio subito per l’impossibilità di poter utilizzare il bene a fini locativi”.
LA DECISIONE.
Il condomino danneggiato lamentava che “in presenza della lesione al titolare di un diritto reale, consistente nel mancato godimento del diritto stesso, il danno deve essere riconosciuto facendo applicazione dei criteri equitativi di liquidazione, senza quindi la necessità di una puntuale dimostrazione delle conseguenze pregiudizievoli. Pur in presenza di un cosiddetto danno figurativo, la Corte distrettuale ha immotivatamente ancorato il diritto al risarcimento del danno all’esistenza di rigidi presupposti, viceversa non richiesti dalla giurisprudenza di legittimità. Peraltro, l’esistenza del pregiudizio, ancorché da liquidare in via equitativa, emergeva dagli elementi probatori acquisiti in atti, ed in particolare dagli accertamenti peritali espletati, così come peraltro già ritenuto ad opera del giudice di primo grado”.
La Suprema Corte ritiene il motivo fondato, e afferma: “Reputa il Collegio che appaia sicuramente condivisibile l’orientamento maggioritario della Corte, del quale dà sostanzialmente atto anche la sentenza impugnata, per il quale il pregiudizio da mancato godimento di un immobile, analogamente a quello derivante dall’occupazione abusiva, per il quale, ancorché non voglia addivenirsi alla conclusione secondo cui trattasi di danno in re ipsa ( in tal senso (Cass., 16 aprile 2013, n. 9137, m. 626051), in ogni caso trattasi di danno la cui valutazione è in definitiva rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass., 11 gennaio 2005, n. 378). Peraltro, anche i fautori della tesi del danno in re ipsa subito dal proprietario, sul presupposto dell’utilità normalmente conseguibile nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto dominicale, costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum, riconoscono che la presunzione non può operare ove risulti positivamente accertato che il dominus si sia intenzionalmente disinteressato dell’immobile e abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione (cfr. Cass. 7 agosto 2012, n. 14222)”.
Il Collegio si esprime per la continuità di tale orientamento: “Tali considerazioni hanno trovato adeguata esplicitazione in Cassazione civile 1/10/2015 n. 19655, nonché in Cass. 15 ottobre 2015 n. 20823 ed appare al Collegio necessario dare continuità a tale orientamento, di guisa che, rapportando i principi su esposti al caso in esame, non può che ravvisarsi la carenza motivazionale del provvedimento impugnato, nonché la sua contraddittorietà. Ed, invero, non è contestato che la condizione del bene, conseguenza delle infiltrazioni lamentate in citazione, abbia nei fatti impedito il godimento, anche mediato dell’immobile, impedendo agli attori di poterlo utilmente locare”.
OSSERVAZIONI
Per l’orientamento maggioritario della Cassazione, il pregiudizio da mancato godimento di un immobile è rimesso alla valutazione del giudice di merito, che può servirsi di presunzioni gravi, precise e concordanti. A tal fine, anche nei casi in cui il giudice non aderisca alla tesi del danno in re ipsa subito dal proprietario sul presupposto dell’utilità normalmente conseguibile nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto di proprietà, vi è, in tal senso, una presunzione iuris tantum (una presunzione giuridica che ammette una prova contraria, prevede cioè solo una inversione dell’onere della prova). In assenza di prova contraria, la presunzione può essere pienamente utilizzata dal Giudice al fine di quantificare il danno da mancato godimento.
DISPOSIZIONI
Codice Civile CAPO VII – Dell’appalto – Art. 1667 – Difformità e vizi dell’opera. L’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore.
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
L’azione contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.