[A cura di: Giuseppe Mazzei e ANCCA]
Mancano pochi giorni alla scadenza del termine del 31 dicembre, fissato sia dalla Direttiva Europea 27/2012 sull’efficienza energetica, che dai due decreti legislativi di recepimento in Italia. Eppure continua regnare una confusione sull’attuazione di norme che dopo una faticosa approvazione sembravano una volta per tutte definite. L’ultima tempesta di sabbia, in ordine di tempo, riguarda l’art 9, comma 5, lettera d) del D.Lgs. 102/2014, come modificato dal D.Lgs.141/2016.
ARTICOLO 9
Il legislatore dopo aver ascoltato le opinioni di vari soggetti, tra cui l’Associazione nazionale contabilizzazione del calore e dell’acqua (Ancca) e acquisito il parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari, si era definitivamente pronunciato sull’applicabilità o meno delle regole previste dalla norma tecnica UNI 10200 per la suddivisione tra gli utenti finali delle spese del riscaldamento nei condomini e negli edifici polifunzionali. Il testo è molto chiaro e recita così:
“Ove tale norma non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l’importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso, gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate. È fatta salva la possibilità, per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà. Le disposizioni di cui alla presente lettera sono facoltative nei condomini o gli edifici polifunzionali ove alla data di entrata in vigore del presente decreto si sia già provveduto all’installazione dei dispositivi di cui al presente comma e si sia già provveduto alla relativa suddivisione delle spese”.
“CHIARIMENTI”?
Improvvisamente, però, sono emerse richieste di chiarimento, da parte – tra gli altri – del Consiglio nazionale degli ingegneri. A tali richieste il Ministero ha dato una risposta il 4 novembre scorso. Questa risposta è stata definita “informale”. Ma quando un Ministero risponde, con una mail, su un testo normativo, indicando la propria interpretazione, sembra strano che tale atto si possa definire informale.
Che cosa dice il Ministero? Che per disapplicare la UNI 10200 si deve rilevare il fabbisogno energetico per metro quadro di tutte le unità immobiliari dell’edificio; poi si devono individuare l’appartamento con il fabbisogno a metro quadro più basso e quello con il fabbisogno a metro quadro più elevato. Se la differenza tra i due supera il 50%, allora si può disapplicare la UNI 10200. È di tutta evidenza che tale interpretazione stravolge il senso letterale della norma, secondo cui rilevano le “differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari […] superiori al 50 per cento”.
Infatti, un tecnico esperto può agevolmente individuare due unità immobiliari aventi una differenza di fabbisogno termico superiore al 50 per cento, ad es. tra un’unità commerciale ubicata al piano terra con estese vetrate (come un negozio) ed un appartamento al centro del condominio, dove tale differenza sussiste nella quasi totalità dei casi, senza gravare gli utenti dell’ulteriore e superflua considerevole spesa (anche 200 euro per unità immobiliare) per la rilevazione di tutte le unità immobiliari (soprattutto nel caso di edifici di notevoli dimensioni), che non è affatto necessaria dal punto di vista tecnico e non è richiesta dalla norma, secondo cui come si è visto va effettuata “tra le unità immobiliari” e non “tra tutte le unità immobiliari”.
Questa interpretazione dell’art.9, 5° comma, lettera d) vorrebbe inoltre che, nel silenzio del dettato normativo, il fabbisogno termico venisse calcolato ricorrendo alla norma UNI/TS 11300 parte 1 e 2. Ma tale richiamo pone dei limiti, in modo ingiustificato, al tecnico che potrebbe, invece, scegliere altri metodi validi e a “regola d’arte”, in quanto la norma UNI/TS 1130 è la norma di riferimento per le certificazioni, per cui si costringerebbe tutto il condominio o l’edificio polifunzionale a dotarsi della certificazione, con un’inutile ed ulteriore aggravio di costi, considerando che vi sono anche altri metodi di calcolo, molto più semplici ed economici e altrettanto tecnicamente attendibile.
LA UNI 10200
Ma c’è di più. In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore (L’Esperto risponde 7/1172016) si sostiene che nessun criterio prima adottato possa essere legittimamente conservato, cioè che chi già contabilizzava possa utilizzare criteri di calcolo diversi dalla UNI 10200 non conformi alla legge, visto che all’epoca dell’entrata in vigore del Decreto questa era obbligatoria.Tali soggetti a suo dire potrebbero semplicemente continuare ad utilizzare la UNI 10200 o, se vi siano differenze di fabbisogno superiori al 50%, disattenderla e utilizzare altri criteri. Ma se si fosse voluto che ogni e qualsiasi condominio si dovesse adeguare perlomeno previamente alla UNI 10200, non si sarebbe scritto che “Le disposizioni di cui alla presente lettera sono facoltative …”.
Non ha alcun senso rendere facoltativa l’applicazione della UNI 10200 solo per i soggetti che l’avevano già applicata. È evidente, ad esempio, che chi già da anni aveva installato i dispositivi e ripartiva i costi con una quota fissa del 30%, basata su millesimi di riscaldamento o potenze installate, in base alla sopra citata interpretazione avrebbe oggi l’obbligo di:
* munirsi di progetto per il calcolo dei millesimi di riscaldamento con un costo notevolissimo (migliaia di euro);
* procedere ad una ripartizione fittizia per l’anno 2015 secondo la UNI 10200;
* far poi accertare con perizia tecnica asseverata (ulteriori costi) la differenza di fabbisogno termico superiore al 50%
* continuare a suddividere i costi come fatto sempre in precedenza.
Tale interpretazione è quindi totalmente errata, anche perché la norma è chiarissima e secondo i principi generali dell’ordinamento non necessita di interpretazione (art. 12 delle Disposizioni preliminari al codice civile: In claris non fit interpretatio).
La suddivisione dei costi in base alla UNI 10200 è pertanto facoltativa se al 26 luglio 2016 si era già provveduto all’installazione dei dispositivi e alla relativa suddivisione delle spese, secondo quanto disposto dall’ultima parte dell’art. 9, 5° comma, lettera d) del Decreto Legislativo 18 luglio 2016 n. 141. Se così non fosse, sarebbero ingiustamente penalizzati tutti i soggetti che in buona fede in base a quanto disposto dallo stesso Decreto hanno commissionato un perizia asseverata che ha accertato una differenza di fabbisogno termico superiore al 50 per cento e che hanno proceduto alla suddivisione delle spese con criteri alternativi.
CONCLUSIONI
A questo punto aspettiamo un ulteriore chiarimento da parte del Ministero. L’associazione Ancca ha chiesto chiarimenti e un incontro per diradare queste nebbie interpretative, suggerendo che in ogni caso il Ministero possa ritenere accettabili anche altre intepretazioni attuative della norma, come quelle fin qui sopra esposte. Se, invece, dovessero essere confermate le interpretazioni restrittive, si rischierebbe di gravare la contabilizzazione con oneri impropri e inutilmente costosi per i consumatori, mentre le linee guida della Commissione Europea richiedono che l’introduzione della contabilizzazione avvenga nel modo meno costoso possibile e con la massimizzazione dei benefici. L’uso di metodi più semplici e non onerosi per verificare se un edificio sia esente o meno dagli obblighi di contabilizzazione ( ad esempio l’uso di un software on line) aiuterebbe certamente l’avvio di questa importante rivoluzione finalizzata al risparmio energetico, ambientale e familiare.