[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – pres. centro studi Confedilizia]
Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; e ciò, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia – ancora – correlando l’entità del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.
La legittimità di tale clausola deve essere peraltro esclusa là dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola – che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall’art. 1, comma nono-sexies, della legge n. 118 del 1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, primo comma, della stessa legge”.
È l’importante principio di diritto (in gran parte confermativo, ma in parte anche innovativo, rispetto alla precedente giurisprudenza di legittimità) stabilito dalla Cassazione con la sentenza 10.11.2016, n. 22909.