[A cura di: avv. Carlo Pikler – Ufficio Legale ROKLER Management & Consulting S.r.l.]
Il presente articolo si pone l’obbiettivo di esaminare i più recenti approdi giurisprudenziali in merito a un tema che, in ambito condominiale, risulta sempre più attuale. Ciò anche alla luce dei trascorsi anni di crisi economica, che hanno aggravato la generale posizione debitoria di tutte le compagini condominiali. Capita sovente allora che, in seguito al passaggio delle consegne tra un amministratore di condominio uscente e uno entrante, si instauri un contenzioso giudiziario azionato dal primo al fine del recupero di somme dichiaratamente anticipate – nell’arco della propria gestione – in favore del condominio in precedenza amministrato.
IL CREDITO
Secondo la ricostruzione giurisprudenziale dominante, il suddetto credito a titolo di somme anticipate nell’interesse del Condominio trae origine da un ufficio di diritto privato al quale sarebbe ricollegato un rapporto di “mandato” – assimilabile a quello con rappresentanza – che intercorre tra amministratore e condòmini (cfr., da ultimo, Trib. Torino Sez. I Civ., sentenza 29/01/2016 n. 544).
Troverebbe pertanto applicazione l’art. 1720 comma I c.c., in conformità del quale il mandante ha l’obbligo di rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incarico. Obbligo che naturalmente perdura oltre la cessazione del medesimo incarico e che legittima l’inoltro della relativa richiesta di restituzione anche nei confronti del singolo condomino inadempiente (cfr. già Cass. n. 1286/1997).
Enucleati tali elementari principi alla base dell’azione in oggetto e considerato che essa, rientrando nell’ampia materia condominiale, è soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ex D.Lgs, n. 28/2010) deve ora dirsi che l’effettivo recupero delle somme così richieste appare in realtà tutt’altro che agevole. Ma questo non tanto dal punto di vista pratico, quanto piuttosto giuridico. Nel senso che l’amministratore, al fine di vedere accogliere giudizialmente le proprie istanze, è “costretto” ad assolvere un difficoltoso onere probatorio.
LE PROVE
Non avendo infatti l’amministratore un generale potere di spesa e fatti salvi i casi di urgenza ex artt. 1130, 1134, 1135 c.c.. – le cui anticipazioni devono in ogni caso essere successivamente ratificate dall’assemblea – qualunque somma anticipata abbisogna di formale “accettazione” della compagine condominiale. Quest’ultima è infatti deputata al formale controllo della gestione del proprio “mandatario”, altrimenti il corrispondente credito non sarebbe né liquido né esigibile (Cass. n. 14197/2011 e Cass. n. 1224/2012).
L’atto di accettazione per eccellenza – e dunque, si potrebbe dire, valevole come ricognizione del debito – è rappresentato dall’approvazione del rendiconto, nel quale confluiscono tutte le poste di spesa, anche quelle a titolo di anticipazioni. Eppure la giurisprudenza ha più volte affermato che tali poste devono essere dotate della necessaria specificità e chiarezza, altrimenti l’onere probatorio non sarebbe per nulla assolto (Cass. n. 10153/2011; Cass. 28/05/2012 n. 8498/2012; Cass. n. 15401/2014).
Peraltro nemmeno la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore – all’atto della consegna della documentazione inerente la precedente amministrazione – del verbale di passaggio delle consegne ovvero l’apposizione sullo stesso di diciture del tipo “per accettazione” o “per ratifica” o, ancora, “per approvazione”, è sufficiente ad impegnare il condominio in merito al rimborso di somme anticipate dall’amministratore antecedente (cfr. ancora Cass. n. 8498/2012). E che un decreto ingiuntivo emesso in favore di costui su tale unica base probatoria, ben può essere oggetto di una vittoriosa opposizione da parte del Condominio ingiunto (Trib. Genova Sez. III, 08/02/2012).
CONCLUSIONI
Per concludere la disamina effettuata, allora, l’amministratore che intenda recuperare – con qualche concreta possibilità di successo – l’anticipazione da egli effettuata a titolo di spese di gestione o, comunque, di spese urgenti, dovrà:
1. confrontare il rendiconto bancario condominiale con quello da lui redatto onde accertare pagamenti non risultanti su conto corrente;
2. previa verifica dell’effettivo pagamento di tutte le partite del suo rendiconto, evidenziare la presenza di un saldo passivo del suo rendiconto e la corrispondente assenza di fondi sul conto corrente condominiale;
3. dimostrare l’anticipazione attraverso la produzione dei titoli di pagamento (ovvero bonifici provenienti da suo conto personale, assegni, o testimonianze dirette di versamenti in contanti a pagamento delle singole partite.
Nel condominio, infatti, deve rinvenirsi un rendiconto “reale” costituito dal rendiconto bancario e un rendiconto “virtuale” redatto dall’amministratore. Solo la redazione di quest’ultimo secondo un principio di cassa “puro”, difatti, potrà fondare una base contabile da confrontarsi con le risultanze bancarie. In mancanza di ciò e qualora venga redatto unicamente un rendiconto per “competenza”, dovranno dunque essere considerate solo le spese effettivamente sostenute nel periodo.
Attraverso il riscontro positivo tra il conto corrente e il rendiconto, e con l’esibizione dei titoli di pagamento, il giudice potrà quindi licenziare una consulenza tecnica d’ufficio di tipo “deducente” (che proceda al controllo delle allegazioni del procedente ed alla verifica dei conteggi). In caso contrario, infatti, come precisato dalla recente giurisprudenza di merito, una perizia che dovesse procedere alla revisione della contabilità onde rinvenire eventuali anticipazioni non sarebbe ammessa poiché meramente “esplorativa”, e pertanto in violazione del principio dispositivo del processo (ove spetta alla parte allegare e dimostrare puntualmente ogni richiesta).