Non configura reato di molestie e disturbo alle persone l’abbandono di rifiuti in un cortile adiacente all’abitazione del querelante, qualora l’area sia di proprietà privata degli imputati. È questa, in sostanza, la posizione espressa dalla Corte di Cassazione con la sentenza 2754 del 20 gennaio 2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I pen., sent. 20.1.2017, n. 2754
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 24 giugno 2015 il Tribunale di Como ha dichiarato P.M. e P.I. responsabili del reato di cui all’art. 660 cod. pen. commesso, in epoca anteriore e prossima al 3.04.2013, ai danni di S.A., condannandoli alla pena di Euro 300 di ammenda ciascuno nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede.
Il fatto imputato consisteva nell’avere recato disturbo e molestia al S. per petulanza e biasimevoli motivi, mediante un accumulo di materiale ferroso e legnoso all’interno del cortile comune e a ridosso del muro della finestra dell’abitazione del predetto.
1.1. A ragione della decisione il Tribunale osservava che la prova dei comportamenti molesti tenuti dagli imputati, consistiti nell’accumulo di legna, in quantità superiore al fabbisogno di una famiglia, e di una mole di materiale vario proprio in prossimità delle finestre del S., emergeva dalle dichiarazioni di quest’ultimo e dalla documentazione fotografica acquisita agli atti che ritraeva le condizioni di estrema sporcizia e disordine a ridosso del muro dell’appartamento della parte lesa.
2. Gli imputati hanno proposto impugnazione, in forma di atto di appello, a mezzo del difensore, avv. R. B., chiedendo nel merito l’assoluzione e, in subordine, l’applicazione della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.
2.1. Lamentano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 660 cod. pen., deducendo che il teatro della condotta era un cortile nella loro esclusiva disponibilità, così difettando il requisito della fattispecie penale che prevede che la molestia sia arrecata in luogo pubblico o aperto al pubblico; contestano l’affermazione secondo la quale il muro del S. risultava aggredito dall’umidità e dagli insetti e che l’accumulo di legna ostruiva la visuale delle finestre aggettanti sul cortile, siccome smentita proprio dalla documentazione fotografica da essa richiamata; deducono l’insussistenza del requisito della petulanza o di altro biasimevole motivo, essendo le condotte contestate nient’altro che mal tollerate esplicazioni del pieno godimento di un bene di proprietà.
Il Presidente della Corte d’appello di Milano ha qualificato l’appello come ricorso, sul rilievo che concerneva condanna alla sola pena dell’ammenda, e lo ha trasmesso a questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che appare fondata, ed ha carattere assorbente, la tesi dei ricorrenti circa l’asserita inosservanza della norma penale, sotto il profilo della carenza del requisito della fattispecie in relazione alla previsione contenuta nella norma del “luogo pubblico o aperto al pubblico”.
1.1. Questa Corte, con specifico riferimento alla contravvenzione in esame, ha fissato il principio di diritto secondo il quale “si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni” (Sez. 6 n. 9888 del 6 giugno 1975, T.; adde: Sez. 1 n. 28853 del 16/06/2009).
Giova ribadire anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale per integrare il requisito della pubblicità del luogo di commissione del reato è sufficiente che, indifferentemente, il soggetto attivo ovvero quello passivo si trovino – almeno uno di essi – in luogo pubblico o aperto al pubblico (Cass., Sez. 1, 24 aprile 1986, n. 11524: “Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico”).
2. Tanto premesso, e benché richiami proprio gli anzidetti principi, mostrando di conoscerli, la decisione impugnata prescinde dalla base fattuale a cui andava ancorata l’affermazione che il cortile ove si svolsero i fatti era luogo aperto al pubblico. È la stessa sentenza, infatti, a dare atto, nella parte motiva, che comproprietari del cortile erano soltanto i P. e le condomine M. e B., le quali hanno precisato di non vivere da anni nell’edificio ed hanno confermato l’uso esclusivo del cortile da parte degli imputati.
Se così è, e il Tribunale dà atto di tale evidenza, non contestata nemmeno dalla parte lesa che ha riconosciuto il carattere privato del cortile e il suo utilizzo pieno ed esclusivo da parte del P., padre e figlia, con i quali aveva avuto anche un contenzioso civile nell’anno 2007, deve ritenersi del tutto pacifico e fuori discussione che la condotta dei ricorrenti si è sviluppata in luogo privato e che in luogo privato si trovava il destinatario delle ritenute molestie.
Tanto esclude, all’evidenza, la rilevanza penale dei lamentati disturbi, difettando un requisito oggettivo della fattispecie.
2.2. Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.