[A cura di: Nunziata Masiello – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
In tema di imposta di registro, per i trasferimenti immobiliari antecedenti al 1° gennaio 2014, i presupposti della revoca dell’agevolazione “prima casa”, per gli immobili considerati di lusso sulla base dei parametri stabiliti dal Dm 2 agosto 1969, permangono anche alla luce dello ius superveniens di cui all’articolo 10, primo comma, lettera a), del Dlgs 23/2011, il quale, nel sostituire il secondo comma dell’articolo 1 della parte prima della tariffa allegata al Dpr 131/1986, ha previsto che l’esclusione dall’agevolazione non dipende dalle caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto Dm) quanto dalla circostanza che la casa di abitazione sia iscritta in categoria catastale Al, A8 o A9. Il nuovo regime, infatti, trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente al 1° gennaio 2014.
Una diversa soluzione s’impone, tuttavia, relativamente alle sanzioni. Lo ius superveniens induce al parziale accoglimento dei ricorsi limitatamente alla non debenza delle sanzioni irrogate e tale soluzione interpretativa di favore può essere attuata anche d’ufficio in ogni ordine e grado del giudizio, quindi, anche in sede di legittimità. Questi i principi statuiti dalla Corte di cassazione con le sentenze nn. 3360, 3361 e 3362 dell’8 febbraio 2017.
LA DECISIONE
Vengono impugnate tre sentenze emesse dalla Ctr del Lazio, con le quali, in riforma delle decisioni di prime cure, i giudici di secondo grado hanno ritenuto legittimi gli avvisi di liquidazione e irrogazione di sanzioni emessi dall’Agenzia delle Entrate in revoca delle agevolazioni “prima casa” fruite in relazione a trasferimenti di unità immobiliari ricompresi in aree destinate dagli strumenti urbanistici a ville, parchi privati, costruzioni qualificate come abitazioni di lusso ai sensi dell’articolo 1 del Dm 2 agosto 1969. In tutti e tre i giudizi, la suprema Corte ha ritenuto corretta la “ratio decidendi del giudice di appello (peraltro basata su considerazioni fattuali, per loro natura insindacabili in questa sede); ratio decidendi affermativa della legittimità della revoca dell’agevolazione vertendosi, nel caso concreto, di immobile di lusso secondo i menzionati parametri tipologici ex artt.5 e 6 D.M. 2 agosto 1969”.
Sulla questione, i giudici hanno altresì chiarito che i presupposti della revoca dell’agevolazione secondo i criteri previsti dal citato Dm 2 agosto 1969 restano fermi anche alla luce delle modifiche normative introdotte dall’articolo 10, primo comma, lettera a), Dlgs 23/2011. Infatti, detta norma ha previsto il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso, come tale escluso dal beneficio “prima casa”, sulla base dei parametri del decreto ministeriale del 1969, solo per i trasferimenti immobiliari realizzati a partire dal 1° gennaio 2014. Al riguardo, i giudici hanno specificato che, in forza della disposizione sopravvenuta, “l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (…), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici)”. Senonché “il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1° gennaio 2014, come espressamente disposto dall’art.10 co.5 d.lgs.23/11 cit.”.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, hanno ritenuto legittime le revoche dell’agevolazione prima casa indebitamente fruite, poiché i trasferimenti dedotti nei tre giudizi erano antecedenti al “discrimine temporale” del 1° gennaio 2014 e, pertanto, disciplinati sulla base della previgente normativa. Fermo restando, dunque, il pregresso regime impositivo sostanziale, gli stessi giudici hanno ritenuto di adottare una diversa linea interpretativa per le sanzioni applicate con l’atto impugnato. Infatti, in applicazione del principio del favor rei, hanno statuito per la non debenza delle sanzioni irrogate. Al riguardo, hanno ravvisato esistenti i presupposti per l’applicazione dell’articolo 3, comma 2, del Dlgs 472/1997, ai sensi del quale “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”.
Nei casi di specie, la ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria si impone: tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” secondo i parametri ministeriali; quindi, per aver reso una dichiarazione che, tuttavia, per effetto della modifica normativa, attualmente non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento. In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.
Per i giudici, è vero che la modifica normativa non ha abolito né l’imposizione né le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione; tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, a essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo a immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione. Ed è proprio questo aspetto che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “abolitio criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa quanto quello sanzionatorio (Cassazione 25754/2014, 25053/2006).
I giudici, quindi, concludono affermando che “l’amministrazione finanziaria mantiene, come detto, la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile (…) senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti”.
Dette statuizioni sono suscettibili di essere attuate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; e, quindi, anche in sede di legittimità (tra le altre: Cassazione 1856/2013, 4616/2016, 16679/2016, 13235/2016).
OSSERVAZIONI
L’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, come modificato dall’articolo 10 del Dlgs 23/2011, prevede l’applicazione dell’aliquota agevolata, ai fini dell’imposta di registro, del 2% per i trasferimenti che hanno per oggetto “case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis)”. Prima delle citate modifiche normative, introdotte con decorrenza dal 1° gennaio 2014, l’aliquota fissata nella misura del 3% riguardava i trasferimenti che avevano per oggetto “case di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 agosto 1969 (…), ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis)”. Con decorrenza dal 1° gennaio 2014, per l’individuazione dell’immobile agevolabile occorre fare riferimento unicamente alla categoria catastale di appartenenza dell’immobile stesso (A/l, A/8 o A/9); antecedentemente, la concreta tipologia del bene e le sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie erano individuate sulla base del suddetto Dm.
Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota Iva ridotta, il legislatore è poi intervenuto con l’articolo 33 del Dlgs 175/2014 che, nel modificare il n. 21 della tabella A, parte II, allegata al Dpr 633/1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione Iva è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie.
Stante il quadro normativo sopra rappresentato, sull’efficacia temporale delle nuove disposizioni, la suprema Corte ha dunque chiarito (vedasi anche Cassazione 13235/2016) che l’agevolazione prima casa spettante sulla base dei nuovi parametri non trova applicazione per gli atti negoziali anteriori a gennaio 2014; ciò, tuttavia, non impedisce alle stesse norme di spiegare effetti ai fini sanzionatori, con la conseguente applicazione anche alla materia tributaria del principio del favor rei, a condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo.
Non in linea con il suddetto orientamento di legittimità si pongono dunque le sentenze di merito che, al contrario, riconoscono la prevalenza della nuova categoria catastale sulle vecchie regole del 1969. Ad esempio, si richiama la sentenza n. 275/1/16 della Ctp di Pisa, con la quale i giudici hanno affermato che, a seguito dell’innovazione della norma in tema di benefici da prima casa, le nuove regole si applicano anche per il passato, laddove l’abitazione acquistata, da un punto di vista catastale, rientra pacificamente nella categoria non di lusso, indipendentemente dal computo dei mq. Negli stessi termini si era espressa anche la Ctr del Lazio con la sentenza n. 4449/1/15, depositata il 29 luglio 2015.