Condominio e limiti imposti dal regolamento contrattuale. Un argomento sempre di stretta attualità quello oggetto di un quesito indirizzato da un amministratore alla rubrica di consulenza legale del Tg del Condominio. di seguito, una sintesi della vicenda e il parere fornito dall’avvocato Emanuele Bruno.
IL QUESITO
Un regolamento di natura contrattuale (risalente al 1936) di un condominio che amministro, prevede quanto segue: “Il subaffitto totale o l’eventuale vendita degli alloggi deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”. In articolo successivo, viene poi stabilita la procedura da seguire in caso di subaffitto totale o vendita degli alloggi. Ora, la domanda è la seguente: a mio parere la disposizione in questione è, oggi, illegittima, e quindi da considerare “caducata”, perché in contrasto con un “principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato”, che è quello della “libera circolazione dei beni”. Che cosa ne pensate?
RISPONDE L’AVVOCATO E. BRUNO
Il regolamento condominiale dell’anno 1936 ha come presupposto la disciplina del diritto di proprietà normata dallo Statuto Albertino e dal Codice civile del 1865.
Lo Statuto Albertino statuiva che “la proprietà privata è sacra, inviolabile, intangibile e solo in casi rarissimi ed eccezionali può essere sacrificata”; contestualmente, il codice civile del 1865, all’art. 436, affermava che “la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”.
La seconda parte del periodo della clausola regolamentare è così formulata: “(…) deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”.
La norma limita certamente il libero trasferimento/godimento della proprietà; tuttavia, emerge con forza la volontà di regolamentare la cessione, ovvero, indicare ai condòmini presupposti e modalità per trasferire l’uso o la proprietà con l’obbiettivo espresso di salvaguardare l’equilibrio sociale già presente all’interno del condominio [(…) potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”].
La volontà di salvaguardare l’equilibrio condominiale o, meglio, lo status della proprietà, è lampante, tanto che il regolamento disciplina la procedura da seguire per vendere o subaffittare.
Si osservi anche la non regolamentazione del subaffitto parziale, pratica estremamente diffusa all’epoca (locazione di una stanza), quasi a ritenere che il proprietario/conduttore garantisse per il conduttore/sub conduttore parziario.
Dunque, la norma regolamentare pone limite al trasferimento della proprietà, ma tale limitazione lascia trasparire – con forza – la volontà di salvaguardare modalità di utilizzo degli spazi, quindi, si tratta di limitazione orientata a salvaguardare la destinazione d’uso dell’intero complesso. Sarebbe interessante capire, per esempio, se, come si è indotti a pensare, trattasi di immobile di particolare pregio.
Quale possibilità di applicazione oggi?
L’art. 42 della Costituzione attuale afferma: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La libera circolazione della proprietà non è anarchica ma orientata alla funzione sociale.
La norma citata è stata più volte applicata dalla Cassazione che riconosce al regolamento condominiale contrattuale la possibilità di limitare l’ampiezza del diritto di proprietà: “Il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare. In quest’ultimo caso per evitare ogni equivoco in una materia atta ad incidere sulla proprietà dei singoli condòmini, i divieti e i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela. Infatti, la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condòmini deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze”, Cass. Civ. n. 21307/2016.
In conclusione, oggi, si può limitare in modo chiaro ed espresso la facoltà di godimento (perseguimento della funzione sociale) ma non si può semplicemente escludere la libera vendita della proprietà privata. Ciò vuol dire che il proprietario può vendere l’immobile inserito all’interno di un complesso condominiale a chi preferisce (indipendentemente dalla previsione regolamentare); tuttavia, l’acquirente potrà farne uso nei limiti previsti dal regolamento condominiale anche datato 1936 se espresso in modo chiaro e non abrogato (tacitamente e/o espressamente).
Sotto altro profilo, si può osservare che un regolamento del 1936 può, anche solo in parte, contenere regolamentazioni d’uso ancora valide ed efficaci ma, forse, non in linea con le esigenze attuali, quindi, perché non aggiornarlo?