Il portiere e un condomino hanno un alterco che sfocia in una denuncia per lesioni gravissime fatta dal secondo a carico del primo. La mattina in cui il portiere si reca in Procura per risponderne, il condomino affigge un cartello in portineria e rende nota la vicenda agli altri condòmini. Non poteva farlo, e per questo viene condannato. Singolare il caso oggetto della sentenza di Cassazione numero 15221/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 15221/2017
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RITENUTO IN FATTO
1. R.C. era stato tratto a giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, per avere, in concorso con C.C., trattato, senza alcuna autorizzazione, i dati giudiziari di G.P. attraverso “missive e volantini” rivolti ai condòmini dello stabile sito in …, al fine di recare un pregiudizio alla reputazione dello stesso G.P., compromettendo, nel contempo, il sereno svolgimento, da parte della persona offesa, dell’attività lavorativa di portiere addetto al predetto stabile; fatti accertati a Palermo a partire dal 22/03/2007.
Con sentenza in data 21/10/2011 il Tribunale di Palermo, ricondotti i fatti sopra indicati al delitto di cui all’art. 167 del d. lgs. n. 196 del 2003, lo aveva condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione; pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza in data 22/05/2014.
1.1. Secondo quanto era emerso nel corso del giudizio di merito, tra R.C. e G.P. vi erano stati, in precedenza, rapporti molto tesi, culminati in una denuncia per lesioni che lo stesso R.C. aveva presentato nei confronti del portiere del condominio. E in una occasione, l’odierno imputato aveva affisso, nella bacheca dello stabile, un foglio nel quale riferiva che G.P. si era allontanato dalla portineria per recarsi presso la locale procura della Repubblica ove pendeva, nei suoi confronti, un procedimento avviato a seguito della denuncia per lesioni gravissime ai suoi danni presentata proprio da R.C..
Secondo i giudici di merito, tale comunicazione aveva recato un concreto pregiudizio alla persona offesa, la cui reputazione e professionalità sul luogo di lavoro erano state screditate attraverso la rappresentazione di una condotta scarsamente osservante dei suoi compiti di addetto alla portineria del condominio.
2. Avverso la sentenza di secondo grado R.C. propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore fiduciario, deducendo, con un unico motivo di censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 167 del d. lgs. n. 196 del 2003.
Secondo il ricorrente la fattispecie incriminatrice contestata si perfezionerebbe soltanto ove dal trattamento dei dati personali sia derivato un effettivo nocumento. Tuttavia, nel caso di specie, la sentenza non avrebbe posto in luce in che cosa esso potesse essere consistito, atteso che tutti i condòmini sarebbero stati già a conoscenza della qualità di imputato che G.P. aveva assunto nell’ambito di un procedimento in cui R.C. era persona offesa e tanto più che, in ogni caso, il cartello contenente l’informazione che lo riguardava era stato tempestivamente rimosso dalla moglie dello stesso G.P..
Pertanto, si sarebbe in presenza di una situazione nella quale sarebbe stato recato un vulnus minimo alla identità personale del soggetto e alla sua privacy, senza determinare alcun danno patrimoniale apprezzabile. Ciò che secondo la giurisprudenza di legittimità impedirebbe l’integrazione della fattispecie.
(omissis)
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
(omissis)
3. Nel caso di specie, non contestata è la circostanza che nelle condotte dell’imputato più sopra descritte fosse configurabile una ipotesi di trattamento di dati giudiziari e che, in assenza del consenso da parte dell’interessato, tale trattamento fosse sussumibile entro la cornice tipica del delitto ascritto a R.C.. Ciò che è, invece, oggetto delle censure del ricorrente è il fatto che la condotta in questione possa avere cagionato un “nocumento” a G.P. e, sotto un connesso profilo, che essa sia stata sostenuta da idoneo coefficiente di imputazione soggettiva.
4. Sul punto, giova rilevare che, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata (v. pag. 9), il “nocumento” previsto dall’art. 167, D. Lgs. n. 196 del 2003, indipendentemente dalla sua qualificazione in termini di condizione obiettiva di punibilità ovvero di elemento costitutivo del reato, deve essere inteso come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti (omissis), ma anche da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento (omissis).
4.1. Orbene, i giudici di secondo grado, richiamandosi alle ricordate pronunce di questa Corte, hanno adeguatamente spiegato come la propalazione delle informazioni relative alla situazione giudiziaria di G.P., accreditando una “manchevolezza nell’assolvimento dei suoi compiti di portiere, screditandone la reputazione e la professionalità nello stesso luogo di lavoro”, abbia determinato, nei suoi confronti, “un nocumento concreto e tangibile e non certo di minima rilevanza”, anche alla luce dell’ulteriore obiettivo che l’imputato si prefiggeva. Al riguardo, la sentenza impugnata ha richiamato il contenuto della lettera datata 19/04/2007, rivolta all’amministratore del condominio, con la quale R.C. sollecitava la convocazione di un’assemblea condominiale finalizzata alla eventuale adozione di “provvedimenti disciplinari” nei confronti del portiere, evidenziando che costui era stato rinviato a giudizio per il reato di “lesioni gravissime” ai suoi danni. E proprio con riferimento al profilo appena richiamato la sentenza ha correttamente argomentato in relazione alla sussistenza dell’ulteriore elemento di fattispecie, concernente il dolo specifico, consistente nella realizzazione del trattamento dei dati personali al fine di procurare un danno ingiusto a G.P..
(omissis)
5. Il ricorso proposto da R.C. deve essere, conseguentemente, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.