[A cura di: avv. Rodolfo Cusano] La differenza tra nullità ed annullabilità di una deliberazione condominiale riveste una importanza fondamentale in relazione all’impugnativa della delibera assembleare. La comprensione delle differenze tra queste due categorie giuridiche, rapportate alle peculiarità della disciplina del condominio, comporterebbe – da un lato – uno snellimento del contenzioso, che sarebbe così epurato da impugnazioni evidentemente tardive e – dall’altro – l’eliminazione del metodo casistico con cui, talvolta, i giudici di merito affrontano e risolvono le singole controversie, con una conseguente uniformità di giudizi per fattispecie che divergono soltanto per aspetti secondari. Tale uniformità di giudizi, assicurerebbe, poi, l’applicazione del principio della certezza del diritto e di eguaglianza di regolamento, rispetto a posizioni uguali.
Preliminarmente, occorre precisare che a seguito della riforma del 2012, i casi di annullabilità sono espressamente previsti dal codice civile, che all’articolo 1137 sancisce: “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria”.
Le azioni con cui si vantano le nullità, invece, sono elaborazioni della dottrina che fa riferimento ai vizi generali del negozio giuridico: mancanza della volontà, contrarietà a norme imperative, mancanza o impossibilità dell’oggetto ecc.
Incominciamo la nostra analisi dalle prime due decisioni della Corte di Cassazione: la n. 31/2000 e 1292/2000 con cui si ebbe a chiarire il discrimine tra annullabilità e nullità delle delibere. Con esse veniva per la prima volta stabilito che i casi di nullità possono essere ricondotti alla impossibilità ed alla illiceità dell’oggetto, mentre per tutti gli altri, si è in presenza di ipotesi di mera annullabilità.
Ciò si è affermato, mutando profondamente l’indirizzo fino ad allora seguito dalla Suprema Corte, in quanto si è fortemente ridimensionato il campo di azione della nullità, con corrispondente allargamento della nozione di annullabilità alle ipotesi residuali. Tale spostamento del discrimine tra le due categorie ha il pregio di limitare le impugnazioni di delibere assembleari, anche lontane nel tempo ed in definitiva di cristallizzare situazioni che, se pur nate a seguito di un procedimento viziato, non siano state impugnate tempestivamente.
In ciò, infatti, risiede l’aspetto pregnante della distinzione tra nullità ed annullabilità, nella prospettiva dell’esame delle liti condominiali, in quanto nel primo caso l’impugnativa può essere proposta senza limiti di tempo mentre nel secondo entro trenta giorni dall’assemblea, se il condomino che vi abbia partecipato sia stato contrario o si sia astenuto, o dalla comunicazione del verbale, se il condomino non vi abbia partecipato.
Parimenti importante risulta il dato che, in caso di nullità, l’impugnativa può proporla chiunque dei condòmini mentre nell’altro caso, soltanto colui che sia stato pregiudicato dalla deliberazione.
Con il novello indirizzo giurisprudenziale, ci si è uniformati al regime, codicisticamente previsto, per le società di capitali, attraverso un procedimento logico e giuridico che passa per la armonizzazione delle norme sul condominio con quelle previste per la comunione in generale.
In buona sostanza, si ritiene che se in tema di comunione, l’articolo 1105, terzo comma c.c. prevede che, per la validità delle deliberazioni, tutti i partecipanti devono essere stati preventivamente informati dell’oggetto della delibera e l’articolo 1109 c.c. contempla, nel caso in cui non sia stata osservata la disposizione del terzo comma dell’articolo 1105 cit., il potere di ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente di impugnare le deliberazioni nel termine di decadenza di trenta giorni, la statuizione del termine di decadenza esclude che, in tema di comunione, il difetto di informazione configuri una causa di nullità. Conseguentemente, nel ragionamento seguito dalla Suprema Corte, sarebbe ragionevole dubitare che l’articolo 1136, sesto comma c.c., in tema di condominio, disciplinando la stessa fattispecie e usando la stessa formula, alla mancata convocazione di un condomino abbia ricollegato conseguenze diverse e ben più gravi.
Articolando, poi, un collegamento con il regime previsto per il negozio giuridico e, meglio ancora, per le società di capitali, in virtù del quale l’articolo 2379 c.c. delimita la nozione di nullità delle deliberazioni delle società per azioni alle sole ipotesi di impossibilità ed illiceità dell’oggetto, lo applica alla disciplina del condominio.
È nulla, quindi, la delibera quando è assente o è del tutto carente un elemento costitutivo, secondo la configurazione richiesta dalla legge, per cui essa si considera inidonea a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la funzione economico-sociale sua caratteristica; per contro è annullabile la delibera in presenza di deficienze considerate meno gravi, secondo la valutazione degli interessi da tutelare fatta dalla legge.
Annullabile, quindi, è l’atto in cui un elemento essenziale sia viziato: l’atto che, pur non mancando degli elementi essenziali del tipo e dando vita precaria alla nuova situazione giuridica che il diritto ricollega al tipo legale, può essere rimosso.
Conseguentemente, in materia di condominio degli edifici non sono ammissibili cause di nullità diverse dalla impossibilità giuridica e dalla illiceità dell’oggetto, intendendosi per impossibilità giuridica la inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dall’assemblea che delibera a maggioranza ovvero a ricevere quel determinato assetto stabilito in concreto, e per illiceità dell’oggetto la violazione delle norme imperative, alle quali l’assemblea non può derogare, ovvero la lesione diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Per rimanere al caso trattato dalla innovativa pronuncia della Corte di Cassazione n. 31/2000, quindi, in caso di mancata convocazione di un condomino all’assemblea condominiale, in quanto non rientrante nei casi di nullità individuati, della impossibilità giuridica e dell’illiceità dell’oggetto, si verte in ipotesi di annullabilità della deliberazione e, come tale, il termine di decadenza per la sua impugnazione è di trenta giorni dalla assemblea o dalla comunicazione e soltanto da parte del soggetto leso e non più da parte di tutti i condòmini.
Il principio è confermato da una successiva decisione (Cass. n. 13013/2000), secondo cui le delibere condominiali, analogamente a quelle societarie, sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nella competenza dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge. Sono invece annullabili, nei termini previsti dall’articolo 1137 c.c., le altre delibere “contrarie alla legge o al regolamento di condominio”, tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come ad esempio per la convocazione dei partecipanti, o che richiedono qualificate maggioranze per formare la volontà dell’organo collegiale, in relazione all’oggetto della delibera da approvare .
Il mutamento di rotta è di tutta evidenza, se solo si pone lo sguardo all’ampia giurisprudenza precedente che faceva conseguire alla mancanza della convocazione l’inevitabile nullità assoluta della delibera, che poteva esser fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea . Il nuovo orientamento pare in linea con l’esigenza, da perseguire, di certezza dei rapporti e con la conseguente intollerabilità di situazioni che, ormai consolidatesi nel tempo, possano essere rimesse in discussione senza che alcun fondamentale diritto sia stato violato.
Considerato l’ambito di applicazione delle norme condominiali ed il forte restringimento delle ipotesi di nullità, in previsione della riforma della normativa si potrebbe ipotizzare l’allungamento del termine previsto dall’articolo 1137 c.c. a sessanta giorni, decorrenti dall’assemblea – per i presenti dissenzienti – e dalla comunicazione, per gli assenti.
L’ultima considerazione da fare è quella relativa ai vizi procedimentali, che se non impugnati nei trenta giorni, non potranno più costituire, come lo erano stati per il passato, un’occasione, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo con il quale si chiedeva il pagamento degli oneri condominiali, per paralizzare con una nullità l’azione di recupero, fondando sul vizio della delibera posta a fondamento stesso della spesa effettuata, che veniva, ad es. per mancata convocazione dello stesso condomino che poi si oppone, ad essere artatamente sfruttata per interessi egoistici.
Questo nuovo indirizzo della Suprema Corte in materia di nullità e annullabilità delle delibere condominiali è stato confermato con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 4806/2005 (ed è tuttora valido vedi Cass. del 24/07/2012, n. 12930; Trib. Milano 26,02,2016 n. 2606; Ord. 05.10.2016 n. 19965). Essa costituisce un vero e proprio trattato sulla questione nullità-annullabilità delle delibere condominiali. Il motivo di detta decisione consiste nel fatto che il nuovo indirizzo giurisprudenziale (dal 2000 in poi) ogni tanto veniva disatteso da sentenze isolate della stessa Corte di Cassazione, da ciò la necessità di una sentenza resa a Sezioni Unite.
In particolare, tale sentenza ha evidenziato che i vizi dell’oggetto come causa di nullità sono ricollegati ai confini posti in materia di condominio al metodo collegiale ed al principio di maggioranza. Secondo la Corte “tanto l’impossibilità giuridica, quanto l’illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima consiste nell’inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto e che la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, cui l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione di diritti individuali.
Per tali motivi il dettato di cui all’articolo 1137 c.c. va interpretato nel senso che, per deliberazioni contrarie alla legge, si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’articolo 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni di cui agli articoli 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.). Inoltre, le cause di nullità, afferente all’oggetto, raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla sostanza degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce rilevanza e costituendo vizi gravi non sono soggette a termine di impugnazione.
Sono tali quelle:
La dottrina individua, altresì, ulteriori casi di nullità della delibera, quali:
Per cui volendo operare una classificazione, sono da considerare annullabili le delibere che decidono in violazione di:
Sono invece da considerarsi radicalmente nulle le delibere: