Nel condominio cosiddetto minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condòmini e deliberi validamente con decisione unanime. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 5329/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 2.3.2017,
n. 5329
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(omissis)
CONSIDERATO IN DIRITTO
(omissis)
3. Col terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1136, 1139, 1105 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere il giudicante in grado di appello ritenuto nulla, se non inesistente, la delibera 12.6.2007 del Condominio di ….
Secondo il ricorrente, il Tribunale ha errato nel ritenere la delibera nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimità e quello di totalità, che non sono assimilabili: rileva in particolare che l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validità delle delibere del condominio minimo può validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi – verificatasi in concreto nel caso di specie – di decisione assunta dall’unico condomino comparso all’assemblea regolarmente convocata (il R.B., appunto). Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’art. 1136 c.c. (omissis)
Il motivo è infondato.
Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, “a fortiori”, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (omissis).
Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (omissis).
Da tali principi discende dunque che nel condominio c.d. minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condòmini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimità).
Ed è proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma: “nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condòmini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condòmini e all’unanimità decida validamente”.
Si rivela così infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilità dell’art. 1136 c.c..
Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 cod. civ..
Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condòmini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benché regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c..
Ora, nel caso di specie, R.B. fu certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perché si trattava di un “condominio minimo”, della impossibilità di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilità di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’art. 1105 c.c. lasciando poi che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore.
La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perché – lo si ripete – mancava l’unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilità al condominio minimo di … delle regole codicistiche.
Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso.
(omissis)
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio (omissis).