LA CEDOLARE AL 10% HA FATTO IL BOTTO. “MA ANDREBBE CONFERMATA SOLO PER I CANONI CONCORDATI”
[A cura di: Cgil e Sunia]
Nell’anno di imposta 2015, circa 460mila proprietari di abitazioni date in locazione hanno optato per la tassazione con cedolare secca al 10% in alternativa all’Irpef, riferita a contratti con canone concordato. Erano circa 65.000 nel 2011: la riduzione dell’aliquota, infatti, ha reso conveniente applicare la cedolare anche a molti contribuenti che non superano i 15mila euro di reddito del primo scaglione Irpef anche se, come ogni flax tax, i vantaggi maggiori sono per i redditi più elevati, rispetto alla tassazione Irpef che è progressiva.
La cedolare secca al 10%, però, è in scadenza nel 2017, mentre dovrebbe essere confermata e stabilizzata, al fine di fornire un quadro fiscale certo e concorrere al contenimento degli affitti. Da nostre elaborazioni effettuate sui dati dell’Agenzia delle Entrate, infatti, l’applicazione di contratti concordati ha comportato una riduzione del canone, nelle città ad alta tensione abitative, pari mediamente al 16%: circa due mensilità di canone in meno per l’inquilino. A fronte di un costo per lo Stato consistente, e stante la necessità di garantire la funzione sociale di una misura fiscale, sarebbe auspicabile limitare l’applicazione della cedolare al solo caso dei contratti concordati, riportando quella dei contratti liberi alla tassazione Irpef progressiva. Verrebbero in questo modo recuperati, secondo nostre stime, da 1,2 a circa 1,4 miliardi di euro annui, che potrebbero essere destinati al finanziamento di interventi indirizzati al comparto dell’edilizia abitativa ed, eventualmente, al finanziamento del Piano di Edilizia Residenziale Sociale proposto da Cgil, Fillea e Sunia.
Per contrastare l’evasione fiscale nel settore, da noi stimato in circa 1 miliardo di euro annui, è inoltre necessario introdurre la possibilità per gli inquilini di detrarre il canone pagato dal reddito percepito, in analogia con quello che avviene con i mutui prima casa, nonché ripristinare l’obbligo di pagare i canoni di locazione con strumenti tracciabili, misura prevista dalla legge di Stabilità 2014 e successivamente abrogata.
CEDOLARE O IRPEF?
Nell’anno di imposta 2015, 1.841.396 proprietari di abitazioni date in locazione hanno optato per la tassazione con cedolare secca, in alternativa all’Irpef; la maggior parte (1.381.720) con aliquota ordinaria al 21%, riferita a contratti d’affitto con canoni di mercato (+16,6% rispetto all’anno precedente); 459.676 con aliquota ridotta al 10%, riferita a contratti d’affitto con canoni concordati (+47,47%). Considerando il quinquennio 2011-2015 gli aumenti sono stati, nel caso di contribuenti che hanno usufruito della cedolare al 10%, di circa 400.000 unità, nel caso di contribuenti che hanno usufruito della cedolare al 21% di circa 950.000 unità. Il tutto con una sostanziale invarianza del numero di contribuenti Irpef: 40.770.277 nel 2016, +0,13 rispetto all’anno precedente, -1,33 nel quinquennio 2011-2016.
I proprietari che applicano l’Irpef tendono a ridursi col procedere dei rinnovi contrattuali, elemento che si deduce, indirettamente, dai dati storici relativi ai redditi da fabbricati. La riduzione dell’aliquota, infatti, ha reso conveniente applicare la cedolare anche a molti contribuenti che non superano i 15mila euro di reddito.
REDDITO E CANONI
Le classi di reddito In riferimento alle classi di reddito, il 18,37% dei contribuenti che hanno dichiarato un reddito da abitazione locata, fa riferimento a redditi complessivi fino a 15.000 euro annui; il 27,05% a redditi da 15.000 a 28.000; il 35,39% a redditi da 28.000 a 55.000; l’8,08% a redditi da 55.000 a 75.000; l’11,10% a redditi oltre 75.000 euro.
Importante è valutare se l’agevolazione fiscale, che si è tradotta in un forte risparmio per i proprietari, abbia avuto anche una contropartita in termini sociali e se questa si sia tradotta in una reale diminuzione dei canoni nel caso di applicazione dell’aliquota ridotta al 10%. Come anticipato, da nostre elaborazioni l’applicazione di contratti concordati comporta una riduzione del canone, nelle città ad alta tensione abitative, pari mediamente al 16%, seppure con differenze territoriali.
Considerando un canone medio annuo per il mercato ordinario di 100 euro/mq (Bologna), corrispondente ad un canone mensile, per un alloggio medio di circa 80 mq, pari a 665 euro, l’applicazione del canale concordato porta ad un risparmio per l’inquilino pari a 100 euro mensili, 1.200 euro annui, pari a circa due mensilità di canone in meno.
QUALI PROPOSTE
Ferma restando la necessità di avviare una organica politica abitativa che, superando la frammentarietà degli interventi e le risposte in termini emergenziali, sia in grado di rispondere alla molteplicità dei problemi connessi alle trasformazioni urbane ed ai vari e diversificati segmenti che compongono la domanda, alcune misure urgenti da adottare possono concorrere a calmierare il mercato degli affitti, incentivando la diffusione e l’utilizzo del canale concordato, e contrastare la diffusa evasione fiscale nel settore, favorendo il recupero di risorse che possono essere indirizzato al comparto abitativo.
1- Un quadro fiscale certo è l’unico strumento in grado di garantire il consolidarsi della diffusione del canale concordato, che prevede l’applicazione della cedolare al 10% in scadenza nel 2017, la quale, al contrario, dovrebbe essere confermata e stabilizzata. Peraltro è stata recentemente rinnovata, dopo 13 anni, la Convenzione nazionale che stabilisce i criteri per il funzionamento e lo sviluppo dei contratti concordati. Gli accordi locali possono concorrere territorialmente al contenimento degli affitti, ma un quadro stabile di agevolazioni fiscali è indispensabile. Sarebbe auspicabile concentrare le risorse limitando l’applicazione della cedolare al solo caso dei contratti concordati, riportando quella del contratti liberi alla tassazione Irpef progressiva ed aumentando, così, la convenienza per la scelta dei contratti che prevedono canoni inferiori a quelli di mercato.
Come premesso, da nostre stime su dati del Dipartimento delle Finanze, considerando l’ammontare di reddito imponibile soggetto a cedolare secca con aliquota ordinaria (21%), le mancate entrate dello Stato, rispetto ad una tassazione ad aliquota marginale (Irpef) variano annualmente da 1,2 a circa 1,4 miliardi di euro. Al contrario, anche la recente circolare dell’Agenzia delle Entrate (N.8/E del 7 aprile), che ha esteso la possibilità per i proprietari di applicare la cedolare secca al 10% ai contratti transitori stipulati nei Comuni ad alta tensione abitativa, non va nella direzione di favorire stabilità alloggiativa e contenimento degli affitti, ma rischia di incentivare ulteriormente l’uso di contratti di breve durata precarizzando ancora di più l’abitare in affitto, con un ammontare di minori entrate fiscali pari a circa 25 milioni di euro soltanto per le aree metropolitane.
2- Contrastare l’evasione fiscale attraverso la regolarizzazione dei contratti in nero, con conseguente allargamento della base imponibile ed entrate aggiuntive,era una delle motivazioni con le quali fu introdotta la possibilità di opzione per la cedolare secca. A tal fine è necessario introdurre la possibilità per gli inquilini di detrarre il canone pagato dal reddito percepito, in analogia con quello che avviene con i mutui prima casa nonchè ripristinare l’obbligo di pagare i canoni di locazione con strumenti tracciabili, misura prevista dalla legge di Stabilità 2014 e successivamente abrogata. Queste misure possono contrastare il fenomeno dell’evasione nel settore delle locazioni noi stimato in circa 1 miliardo di euro annui. Le maggiori entrate fiscali potrebbero essere indirizzate al comparto dell’edilizia abitative ed al Piano pluriennale di Edilizia Residenziale Sociale proposto da Cgil, Fillea e Sunia.