Rientrano nella nozione di nuova costruzione, anche ai fini dell’applicabilità delle norme in materia del computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16268 del 30 giugno 2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.6.2017,
n. 16268
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 15 settembre 2003, R.P. conveniva in giudizio A.A. e G.P. al fine di vedere accertata e dichiarata l’illegittimità delle finestre realizzate dai convenuti nell’immobile prospiciente la proprietà dell’attore con condanna all’arretramento della costruzione e comunque al ripristino dello stato dei luoghi e, in ogni caso, al risarcimento dei danni patiti.
Si costituivano in giudizio A.A. e G.P. rilevando che la costruzione risaliva al periodo precedente il piano regolatore del Comune di Ghedi, approvato nel 1968, e all’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e che la norma da applicare al caso di specie era non l’art. 873 c.c. ma l’art. 905 c.c..
Espletata l’attività istruttoria, con sentenza in data 22 dicembre 2006, il Tribunale di Brescia rigettava le domande e compensava tra le parti le spese del giudizio.
Avverso detta sentenza proponeva appello il R.P..
Si costituivano in giudizio A.A. e G.P..
Con sentenza depositata il 9 luglio 2012. la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello e condannava la parte appellante alla rifusione delle spese di lite del grado di giudizio. Riteneva, in particolare, la Corte distrettuale che solo in appello l’attore aveva dedotto che i convenuti avevano realizzato una nuova costruzione, mentre nel primo grado di giudizio era pacifica tra le parti la circostanza che si fosse trattato di una ristrutturazione. Rilevava, quindi, che era altresì pacifico che l’edificio dei convenuti fosse stato costruito prima dell’entrata in vigore del D.M. n. 1444/68. a sua volta recepito dall’art. 22 delle N.T.A. del Piano regolatore dei comune di Ghedi.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello propone ricorso R.P. sulla base di tre motivi, successivamente illustrati da memoria.
A.A. e P.G. resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 112 e segg. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5. Secondo parte ricorrente, la Corte d’appello ha erroneamente indicato che le parti, in primo grado, non avrebbero allegato che l’opera dei convenuti integrasse gli estremi di una “nuova costruzione”, ma si sarebbero limitate a qualificare il fatto di causa come “ampliamento e ristrutturazione”, allegando la circostanza della nuova costruzione per la prima volta soltanto nel giudizio d’appello, risultando così preclusa in quanto elemento nuovo. Al contrario, si deduce che la fattispecie della radicale trasformazione era stata già indicata nell’atto di citazione, avendo il fabbricato della controparte subito una modificazione nella volumetria, con l’aumento della sagoma di ingombro, in modo da incidere sulle distanze tra gli edifici esistenti.
3. Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 c.c. dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 e dell’art. 22 delle N.T.A. del Piano Regolatore del Comune di Ghedi, in materia di distanze tra edifici e tra pareti finestrate (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c). In particolare, si deduce che le lamentate modificazioni strutturali non potevano in alcun modo essere considerate come una semplice ristrutturazione, bensì avrebbero dovuto essere ritenute come nuova costruzione, con il conseguente dovere di rispettare le distanze previste dal D.M. n. 1444/1968 per l’apertura delle vedute.
4. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare insieme e con priorità, sono fondati.
Infatti, rientrano nella nozione di nuova costruzione, di cui all’art. 41-sexies della legge 17 agosto 1942 n. 1150. anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l’edificazione di un manufatto su un’area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (omissis).
La Corte distrettuale non si è attenuta né a tale principio di diritto, né alla corretta interpretazione del divieto del novum in appello, li dove non ha considerato che rispetto alla radicale ristrutturazione dell’immobile di proprietà A.A.-G.P., sin dall’inizio lamentata dall’attore (v. pag. 3 della sentenza d’appello). l’affermazione che il relativo manufatto edilizio costituisse una nuova costruzione non introduce in causa un fatto storico nuovo e diverso, ma qualifica giuridicamente quello originario ed immutato ai fini dell’applicazione ad esso della disciplina in materia di distanze. E poiché la qualificazione giuridica dei fatti tempestivamente allegati non soggiace a preclusioni di sorta, perché esprime una difesa tecnica e non una deduzione assertiva, la ritenuta tardività di tale difesa costituisce falsa applicazione del divieto dei nova in appello.
5. L’accoglimento del secondo e del terzo motivo assorbe l’esame del primo motivo, inerente al regolamento delle spese.
6. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, che nel decidere nuovamente nel merito si atterrà al principio di diritto anzi detto e provvederà, altresì, sulle spese di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.