Una coppia firma il compromesso per l’acquisto di un alloggio. In seguito i coniugi scoprono che il tetto del condominio in cui è situato l’appartamento contiene fibre di amianto. Chiedono, dunque, la risoluzione del contratto per inadempimento e la restituzione del doppio della caparra confirmatoria ricevuta. Ma sia la Corte d’Appello sia la Cassazione ritengono infondate le loro richieste. Vediamo perché.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 23.6.2017,
n. 15742
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RILEVATO CHE:
– la vicenda oggetto del giudizio trae origine dal contratto preliminare stipulato il 19.6.2004, col quale N.C. promise di vendere ai coniugi R.A. e A.C. un appartamento all’ultimo piano dell’edificio sito in … e dalla successiva scoperta – da parte dei promissari acquirenti – del fatto che la copertura dell’edificio era realizzata in eternit (materiale in fibrocemento contenente amianto);
– a conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del locale Tribunale, rigettò la domanda con la quale i detti coniugi (promissari acquirenti) ebbero a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore (in relazione al vizio occulto ed essenziale relativo al materiale utilizzato per copertura dell’edificio) e la condanna dello stesso alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria ricevuta;
– avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione R.A. e A.C. sulla base di tre motivi;
– N.C. ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO CHE:
– il primo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione alla mancata considerazione della nocività dell’amianto quale nozione di fatto che rientra nella comune esperienza) è infondato, in quanto – contrariamente a quanto assumono i ricorrenti – la Corte territoriale ha tenuto conto della pericolosità dell’amianto in generale (in relazione all’eventualità che, per il cattivo stato di conservazione del materiale, siano rilasciate nell’ambiente fibre che possono essere inalate dall’uomo), ma l’ha esclusa nel caso specifico sulla base dell’accertamento eseguito dall’ARPA, che ha verificato l’assenza di attualità del pericolo (prescrivendo solo il monitoraggio della copertura in eternit), cosicché i giudici di appello legittimamente hanno ritenuto che l’appartamento promesso in vendita fosse attualmente idoneo ai fini abitativi e che la presenza della copertura in amianto non ne diminuisse il valore in misura tale da giustificare la risoluzione del contratto;
– il secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione al disposto degli artt. 1 e 12 legge n. 257 del 1992 e d.m. 6/9/1994, per la mancata valutazione della inevitabilità del deterioramento dell’eternit e dei rischi conseguenti) è infondato, in quanto la legge 27 marzo 1992, n. 257 – posta a tutela dell’ambiente e della salute – ha vietato per il futuro la commercializzazione e l’utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento, ma non ha imposto la rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni (come quella oggetto di promessa di vendita) già esistenti al momento della sua entrata in vigore, prevedendo rispetto a tali costruzioni solo l’obbligo dei proprietari degli immobili di comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto fioccato o friabile negli edifici (art. 12) e consentendo la conservazione delle strutture preesistenti che impiegano tale materiale a condizione che esse si trovino in buono stato manutentivo (cfr., Cass., Sez. 2, n. 8156 del 23/05/2012, in motiv.);
– la presenza di copertura in eternit nell’edificio di cui fa parte l’immobile promesso in vendita si pone perciò in linea con la normativa vigente, considerato che tale materiale è stato utilizzato legittimamente ratione temporis e che l’accertamento eseguito in concreto dall’ARPA ha escluso pericoli attuali per la salute;
– il probabile deterioramento del materiale nel corso del tempo è stato peraltro considerato dai giudici di appello, i quali hanno ritenuto che lo stesso avrebbe potuto giustificare (in luogo della risoluzione del contratto) una «modesta riduzione del prezzo», nella specie non richiesta dai promissari acquirenti;
(omissis)
– il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;
(omissis)
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
(omissis)