Svariate. Forse sarebbe meglio dire, innumerevoli. Sono le responsabilità a carico dell’amministratore di condominio, divenute ancora più complesse ed articolate dopo l’entrata in vigore, nel 2013 della legge di riforma. L’avvocato Rodolfo Cusano vi ha dedicato un excursus, che pubblichiamo in due puntate. Di seguito, la prima, dedicata al macro-tema del mandato.
[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano]
L’amministratore, in virtù del rapporto di mandato conferitogli dal condominio, risponde del suo operato in relazione all’obbligo di diligenza, che deve obbligatoriamente tenere nell’assolvimento dei propri compiti. L’incarico di amministratore va assolto con la diligenza del buon padre di famiglia, che è la diligenza mediamente posseduta dalle persone.
La responsabilità dell’amministratore può aversi sia quando egli eserciti i propri poteri in materia negligente, sia quando non li eserciti affatto, pur essendovi tenuto. Trattandosi di una responsabilità contrattuale, egli è tenuto al risarcimento del danno nell’eventualità che il condominio abbia subito un qualsiasi pregiudizio derivante da un suo comportamento negligente od omissivo. Tale sua responsabilità, così come previsto dall’articolo 1710 c.c., sarà valutata con minor rigore nel caso egli presti la propria opera gratuitamente.
La Cassazione, in materia di responsabilità dell’amministratore, ha precisato che “l’amministratore ha nei riguardi dei partecipanti al condominio una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i suoi poteri sono quelli di un comune mandatario, conferitigli ex articolo 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio, sia dall’assemblea condominiale. Pertanto, egli è tenuto ad eseguire le deliberazioni assembleari con la diligenza del buon padre di famiglia e, in virtù di tale dovere di diligenza, può, talvolta, ritenere conveniente di soprassedere all’esecuzione di una delibera, nel caso in cui questa sia destinata ad essere revocata o modificata”.
Ogni condomino è titolare del diritto di agire nei confronti dell’amministratore per i danni arrecati nei confronti di tutti. L’amministratore è poi responsabile anche nei confronti di terzi estranei al condominio che abbiano avuto a subire danni dal suo operato. L’unica maniera per non essere in colpa è agire sempre in virtù di un deliberato assembleare. Nel caso, però, in cui l’amministratore esegua una delibera illegittima, nei suoi confronti sussisterà pur sempre una responsabilità concorrente con quella di coloro che hanno approvato la delibera stessa.
Si è posto il problema se per un’attività espletata al di fuori delle proprie attribuzioni risponda anche il condominio. Nella considerazione che l’amministratore non è un organo del condominio, bensì un mandatario, bisogna ritenere che, di quanto compiuto al di fuori dei limiti del potere di rappresentanza, risponde unicamente l’amministratore.
L’amministratore del condominio ha anche il compito di compiere gli atti conservativi, tra i quali rientra l’esercizio delle azioni possessorie, relativamente ai diritti inerenti le parti comuni dell’edificio e, nell’ambito di tali poteri, come precisato dalla Cassazione “ha la rappresentanza del condominio e può agire in giudizio sia nei confronti dei partecipanti, sia nei confronti dei terzi, sia che si tratti di conservazione dei diritti condominiali, sia che la controversia riguardi l’uso ed il godimento della cosa comune. In tali casi, egli può agire in giudizio anche senza il preventivo assenso di una delibera condominiale, poiché tale potere inerisce la sua qualità.
Il primo limite dell’agire dell’amministratore è dato dal conferimento di un mandato limitato alle parti ed agli impianti comuni. In tale ottica il condominio è una particolare forma di comunione forzosa ed agisce per il tramite del suo legale rappresentante per ciò che riguarda le parti e gli impianti comuni. È quindi l’amministratore che agisce in nome e per conto del condominio come un “mandatario senza interferenze nei diritti dominicali autonomi, individualmente spettanti a ciascun condomino”. Secondo questa impostazione, l’amministratore sarebbe un mandatario con rappresentanza ex articolo 1131 c.c.. Tale rappresentanza, per la natura giuridica stessa del condominio, non è generica come quella prevista per gli amministratori delle società commerciali, ma è limitata dalla legge. Non mancano, invero, anche elementi di diversità rispetto all’istituto classico del mandato con rappresentanza. Infatti, l’amministratore viene nominato dall’assemblea con delibera, cioè con un atto collettivo ed anche se non tutti i condòmini lo hanno nominato, egli, nell’esercizio delle sue funzioni, è tenuto a rappresentarli tutti, indistintamente. Secondo una parte della dottrina, il rapporto di mandato amministratore-condominio sarebbe un rapporto giuridico sui generis proprio perché deriverebbe da un atto collettivo e, una volta accettato l’incarico, l’amministratore rappresenterebbe tutti i condòmini, ivi compresi coloro che non hanno votato o che hanno votato contro la sua nomina. Inoltre, l’amministratore ha funzioni, poteri, responsabilità e rappresentanza limitata dagli articoli del codice civile che lo riguardano (articoli 1130, 1131, 1133 c.c.).
Il legislatore ha regolato l’istituto con puntualità e chiarezza: si pensi al solo aspetto particolare di tale rapporto che consiste nell’attribuzione del potere al mandatario di agire anche contro i mandanti. Difatti, nell’esercizio delle potestà amministrative previste dalla legge e dal regolamento di condominio, l’amministratore può adire le vie legali per il rispetto di tutte le norme (vedi ad es. punto 1) e 4) dell’articolo 1130 c.c.) e per l’escussione dei contributi spettanti ai singoli partecipanti (vedi articolo 63 disp. att. c.c.). Questi aspetti prefigurerebbero un rapporto di mandato che si allontana da quello ordinario, ma è pur vero che le caratteristiche peculiari sono tutte previste dalle norme del codice civile, ivi compresi i poteri da esercitare contro il mandante. Da quanto appena detto è lecito definire l’amministratore un mandatario con rappresentanza che agisce in nome e per conto dei rappresentati.
Fin dalla sentenza della Cassazione del 12 febbraio 1997, n. 1286, l’amministratore di condominio configura un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi su indicati e realizzante una cooperazione, in regime di autonomia, con i condòmini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto “sociale” della gestione, al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condòmini, degli articoli 1703-1730 c.c. per quanto applicabili alla fattispecie in esame in funzione dei su richiamati “tratti distintivi”.
Il secondo limite è rappresentato non solo dagli atti previsti dall’articolo 1130 c.c. o ad essi preordinati ma anche da quelli di cui all’articolo 1133 c.c. Inoltre, è importante ricordare che, in forza dell’articolo 1708 c.c. (contenuto del mandato), il mandatario può e deve compiere non solo gli atti per i quali è stato conferito.
Di maggiore interesse per l’amministratore di condominio è il disposto del secondo comma dell’articolo 1708 c.c. che distingue il “mandato generale” da quello “speciale”. In particolare, il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione a meno che non siano espressamente indicati. Tali responsabilità sorgono soprattutto quando il mandatario eccede i limiti del suo mandato (articolo 1711 c.c.). Il compimento di un atto, da parte del mandatario, che esorbita dal mandato resta a carico di questo ultimo, se il mandante non lo ratifica successivamente.
Ad esempio, l’eccesso si potrebbe verificare nel caso in cui un amministratore esegua una delibera inficiata di nullità. In questo caso, si possono verificare due ipotesi: l’assemblea ratifica gli atti compiuti dall’amministratore; la ratifica non interviene e quindi l’amministratore risponde in proprio degli atti compiuti.
Altro aspetto che dobbiamo ricordare è la naturale onerosità del mandato: è l’articolo 1709 c.c. che presume oneroso il rapporto di mandato. Possiamo cominciare a introdurre il primo elemento da tenere in debito conto nella identificazione del concetto di responsabilità. Infatti, l’onerosità del mandato ha una naturale ricaduta sulle sue responsabilità ed è proprio il primo comma dell’articolo 1710 c.c. a stabilire che la responsabilità per colpa deve essere valutata con minor rigore se il mandato viene conferito gratuitamente.
L’onerosità del mandato assume rilevanza anche quando il rapporto contrattuale si estingue per volontà del mandante. Difatti, l’articolo 1725 c.c. stabilisce che in caso di revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, il mandante ha l’obbligo di risarcire al mandatario i danni, se questo ultimo è revocato prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa di revoca.
Ritorniamo a quei casi in cui l’amministratore assume decisioni che vanno riportate nell’alveo di quanto disposto dall’articolo 1133 c.c. In altri termini, non si è d’accordo con chi ritiene che i provvedimenti dell’amministratore possono essere presi solo nell’ambito delle attribuzioni elencate dall’articolo 1130 c.c., nel rispetto del regolamento di condominio e come integrazione di questo ultimo: ad esempio, disciplinare l’uso dell’ascensore in ossequio alle norme tecniche di sicurezza o alle norme del regolamento di condominio rappresenta un caso di adempimento dell’obbligo previsto dal punto 2) dell’articolo 1130 c.c. Infatti, soprattutto nelle realtà più complesse, (supercondomini), la necessità d’applicazione dell’articolo 1133 c.c. si fa più sempre pressante.
Volendo interpretare estensivamente il costrutto normativo del codice in materia di amministrazione del condominio, il potere dispositivo previsto dall’articolo 1133 c.c. deve intendersi come aggiunto all’articolo 1130 c.c. e non come mera ripetizione di funzioni già in questo ultimo articolo previste. In altri termini, non avrebbe senso la ripetizione del legislatore di una funzione meramente disciplinare nell’articolo 1133 c.c. se tale funzione fosse già prevista tra le sue attribuzioni.
I fautori dell’interpretazione restrittiva della norma in esame potrebbero obiettare che la previsione dell’articolo 1133 c.c. riguardi solo la materia di opposizione ai provvedimenti presi dall’amministratore, senza estendere i suoi poteri oltre quelli previsti dall’articolo 1130 c.c.. Difatti l’articolo 1133 c.c. recita: “I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini”.
Ora, se si propende per la tesi che ritiene che l’amministratore abbia un’ampia possibilità di prendere provvedimenti anche al di fuori di quelli previsti dall’articolo 1130, risulta logico che la sua responsabilità diventa più forte, perché in mancanza del supporto normativo non vi sono elementi certi cui ricorrere per poter delineare se quel determinato atto è da considerarsi esperito in esecuzione del mandato oppure no. Ciò che occorre ricordare è che anche se il provvedimento viene assunto in carenza di potere, il singolo condomino non può ignorarlo, perché allo stesso è concesso di ricorrere all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nei termini previsti dall’articolo 1137 c.c..
Ipotesi diversa è quando sia accertata la colpa dell’amministratore; in questi casi egli risponde dell’intero danno sofferto dal mandante, sempre che sia conseguenza diretta ed immediata del suo inadempimento. Invece, vi è responsabilità esclusiva dell’amministratore, con esclusione di quella del condominio, nel caso in cui il primo abbia agito del tutto al di fuori delle proprie attribuzioni e senza autorizzazione dell’assemblea. Affinché possa parlarsi di eccesso di mandato, il mandatario deve aver perseguito uno scopo diverso ed incompatibile con quello per cui gli è stato conferito mandato.
Di fronte ad un provvedimento adottato dall’amministratore, il condomino può ricorrere direttamente all’assemblea dei condòmini, esprimendo il proprio dissenso motivato e chiedendo una deliberazione che ne discuta in merito. Questa possibilità non pregiudica il diritto del medesimo condomino dissenziente a ricorrere all’autorità giudiziaria nel rispetto dei termini previsti dall’articolo 1137 c.c. (trenta giorni dall’emanazione del provvedimento dell’amministratore).
Il rimedio dell’impugnazione offerto dall’articolo 1137 c.c. nei confronti delle deliberazioni assembleari condominiali, e la disciplina relativa, anche in ordine alla decadenza, riguarda unicamente le deliberazioni annullabili e non quelle nulle; pertanto, il provvedimento con cui l’amministratore del condominio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condòmini sulle cose comuni, in quanto affetto da radicale nullità, è impugnabile davanti all’autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137 terzo comma c.c..